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13 REASONS WHY
lo possiamo far vedere ai figli?

Alcune considerazioni e indicazioni utili
a orientare in modo opportuno
il fenomeno del momento

di don Marco Sanavio,
direttore Ufficio di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova

 

TH1RTEEN R3ASONS WHY, trascrizione grafica delle tredici ragioni per le quali un’adolescente si è tolta la vita. È questo il titolo di una serie televisiva proposta su Netflix, un servizio di distribuzione di contenuti video a pagamento, mutuata a sua volta dal romanzo “13” di Jay Asher. Il ritmo delle puntate è scandito dall’ascolto di sette audiocassette nelle quali l’adolescente Hannah Baker delinea con precisione, senza nessuno sconto, le sofferenze che l’hanno portata al suicidio, coinvolgendo nel lungo percorso di rivisitazione i compagni di liceo che hanno contribuito alla tragica scelta.

«Possiamo farlo vedere ai nostri figli?» è la richiesta che sempre più pressante giunge all’Ufficio di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova. Non c’è una risposta univoca e definitiva, anche per evitare un aspetto di delega che potrebbe scaricare su altri una responsabilità che spetta a ciascun genitore, quanto piuttosto una serie di considerazioni che possono far completare in maniera più informata la scelta.

 

Premesso che:

  1. Il prodotto è accattivante, ben sceneggiato dosando curiosità, mistero, sentimenti ed elementi tipici del thriller psicologico. Avvincente l’intreccio del plot, composto da frammenti attuali dosati con abbondanti flashback, e ben ritmato sulla finzione delle sette audiocassette da ascoltare lato per lato. Spinge al binge-watching, la visione compulsiva di una puntata dopo l’altra.
  2. La serie ha il pregio di mettere in evidenza come alcuni comportamenti che dagli adolescenti sono ritenuti normali e ordinari e, soprattutto, considerati non gravemente lesivi della psiche altrui siano, in realtà, devastanti per chi li subisce.
  3. 13 Reasons Why evidenzia come una scuola superiore possa trasformarsi in una macchina infernale quando le dinamiche amicali, le strategie di successo e la latitanza del mondo degli adulti combinati insieme riescono a generare una miscela esplosiva che stringe nella morsa le persone più sensibili.
  4. In questa serie il punto di vista dominante è quello dell’adolescente, spesso esasperato dallo sguardo di un’oggettiva irreale, che percepisce il mondo dei pari come il paradigma su cui misurare il rimanente genere umano.
  5. Il mondo degli adolescenti appare costantemente abitato da persone scaltre, adeguate al mondo attuale, spesso fragili e incomprese ma sempre all’altezza delle situazioni, anche quando stanno per soccombere.
  6. Il pianeta degli adulti sembra popolato da persone lontane dalla realtà, goffe, spesso inadatte ai ruoli che ricoprono, incapaci di ascolto profondo e per questo mai coinvolte nell’abisso che tormenta il cuore dei più giovani, anche perché ritenute in questi casi inutili o inadeguate.
  7. La menzogna è presentata come la condizione permanente dentro la quale l’adolescente protegge la sua privacy e garantisce la sua indipendenza rispetto a qualsiasi ingerenza esterna.

 

All’inizio della serie stessa compare un cartello con l’avvertimento: “questa serie tratta diversi argomenti impegnativi come la depressione e il suicidio. Se tu o qualcuno che conosci ha necessità di trovare supporto o aiuto nella tua zona vai su 13reasonswhy.info per maggiori informazioni”.

Bene, verrebbe da dire, sceneggiatori e produttori della serie si sono resi conto della delicatezza dei temi trattati e suggeriscono di prendere contatto con qualcuno in presenza qualora l’impatto emotivo della vicenda si riflettesse in maniera significativa sulla psiche di un adolescente. Peccato che l’Italia non figuri tra i paesi elencati e che, dove valorizzato, ci sia solo un indirizzo web o un numero di telefono senza altre indicazioni specifiche.

Sembra più un modo spiccio per tacitare i dubbi di coscienza che un vero e proprio aiuto, non vi sembra?

 

Ecco alcune considerazioni che possono orientare alla fruizione della serie:

a) Dipende anche dall’età dei figli.Tenete presente che all’estero le reazioni sono state le più disparata: in alcuni istituti dell’Ontario, di Toronto e di Hamilton, i consigli scolastici stanno vietando addirittura le discussioni perché ritengono la serie troppo violenta e negativa (pratica che non condividiamo, meglio parlarne! Nd.r.). In Nuova Zelanda sarà vietata la visione ai minori di 18 anni. Per quanto ci riguarda quanto più in erba sono i giovani che accostano questa serie tanto più è opportuno un affiancamento efficace!

b) Un consiglio opportuno, quindi, è proprio quello di accompagnare la visione di questa serie con un affiancamento da parte degli adulti in quanto i temi trattati si presentano estremamente delicati per chi non ha ancora una psiche strutturata: violenza sessuale, depressione, suicidio. Anche perché le alternative sono la visione solitaria (sconsigliata) o il divieto. Proibirne la visione, ipotizzando con buona approssimazione le reazioni che si possono innescare nei confronti del vietante ma, soprattutto, consapevoli del fatto che i ragazzi lo possono fruire da qualsiasi mezzo abbiano a disposizione i compagni di scuola sarebbe veramente una misura adeguata ed efficace?

b) Dove possibile è opportuno discuterne in comunità: a scuola, in ambiente parrocchiale, in contesti associativi, nell’ambito sportivo. Il confronto aiuta sempre a ridimensionare, stemperare, individuare soluzioni possibili e creare empatia con il mondo degli adulti e dei formatori

c) Andrebbe ridimensionata l’enfasi con la quale il mondo degli adolescenti è presentato come un ambiente sempre adeguato, mentre la presenza degli adulti e l’ambiente scolastico è più una cornice inadeguata che un supporto alla crescita.

d) Hannah Baker, la ragazza che si è tolta la vita, è presentata come il personaggio che vince su tutti e il suicidio come l’unica via d’uscita dalla gabbia psichica che percepisce attorno a sé. Le sette audiocassette da lei registrate e distribuite dopo la morte sono un po’ strumento che aiuta a prendere coscienza, con la lentezza della registrazione analogica, e un po’ dispositivo di vendetta. Quest’ultimo percorso potrebbe far ritenere ai più giovani il togliersi la vita come uno strumento adeguato a punire quanti li hanno feriti, non compresi e trascurati.

Una prospettiva insana che, unita al desiderio di emulazione, potrebbe diventare una miscela molto pericolosa per chi non è ancora attrezzato a gestire le frustrazioni e le ferite della vita.

 

 

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