Filmcronache

DISOBEDIENCE (Sebastián Lelio)
Tra devozione religiosa e slancio passionale

L’anticonformista fotografa Ronit torna a Londra da New York, dove vive da tempo, per i funerali del padre, il rispettato rabbino capo della comunità ebraica ortodossa. Da giovane la donna aveva avuto una fugace relazione con la schiva e riservata Esti, l’amica d’infanzia ora sposata con suo cugino Dovid, appassionato studioso della Torah. L’incontro tra Ronit ed Esti riaccende, a distanza di anni, sensazioni mai veramente sopite…

“Unici fra tutte le creature, siamo dotati di libero arbitrio, ci troviamo in bilico tra la purezza degli angeli e i desideri delle bestie”, una possibile, autonoma scelta che è “sia privilegio che fardello”. Disobedience, il film con cui, dopo Gloria (2013) e Una donna fantastica (Oscar 2018 al miglior film straniero), Sebastián Lelio prosegue in una ideale trilogia la sua indagine sulla femminilità, sui suoi vincoli, ristagni e convenzioni, parte da qui, dalle parole pronunciate in sinagoga, prima di morire, dall’anziano rabbino della comunità ebraica ortodossa londinese. Parole che tracciano l’orizzonte tematico del film, il primo in lingua inglese del regista cileno, tratto dall’omonimo romanzo di Naomi Alderman, intriso di sofferenza trattenuta e ribellione latente, sviluppato su cadenze ammalianti e percussive. Parole che risuonano, ma con la consapevolezza di una libertà personale dolorosa che pesa su tutti e tre i protagonisti, anche sul finale di Disobedience, all’interno di una modalità strutturale circolare capace di preservare un complesso equilibrio psicologico, tra desiderio di emancipazione individuale e bisogno di protezione familiare, istinto di sopravvivenza affettiva e senso di scacco esistenziale.

Una storia di scavo interiore, dunque, quella scritta e diretta da Lelio, scandita dal perdono e dall’approdo, per Ronit, Esti e Dovid, ad un nuovo cammino di vita, sofferto ma ritenuto necessario. Con la fede (in un’adesione a Dio portata sullo schermo senza intenti provocatori, anche se riassunta da regole rigide e restrittive) a giocare un ruolo decisivo. Sensibile e misurata, la regia di Lelio asseconda la delicatezza narrativa aderendovi senza enfasi, così come la sottigliezza della sceneggiatura si fa termometro indispensabile per misurare le temperature emotive delle interpretazioni di Rachel Weisz, Rachel McAdams e Alessandro Nivola.

Sussurrato, sospirato, Disobedience fa convivere slancio passionale e devozione religiosa, polarità inseparabili nella costruzione di un orizzonte esistenziale comune non acquietato, non stabilizzato. E se il film muove le vele dell’anima verso una terra dove, come dice Dovid, “niente è più tenero e autentico della reale sensazione di essere liberi”, è proprio l’erede designato a raccogliere il ruolo di rabbino capo a stringersi in un abbraccio, toccante e liberatorio, con le due donne. A prima vista, il passo indietro della fede. Forse, a ben guardare, non un gesto di rinuncia, bensì, al contrario, un atto di coraggio.

Regia: Sebastián Lelio

Nazionalità: Usa, 2018

Durata: 114′

Interpreti: Rachel Weisz, Rachel McAdams, Alessandro Nivola

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.