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IL PROFESSORE CAMBIA SCUOLA (Olivier Ayache-Vidal)
Una lezione di vita tra banchi e cattedre

François Foucault è professore di lettere presso il prestigioso Liceo Henri IV di Parigi. Per un bizzarro equivoco viene spinto ad accettare l’assegnazione di una cattedra, per la durata di un anno, in un istituto della periferia parigina. Forte della sua esperienza, e facendo leva sul suo rigore, è convinto di essere in grado di riportare velocemente sulla “retta via” i giovani della banlieue. Ma, a contatto con una realtà ben lontana da ogni previsione, le teorie che fino ad allora avevano forgiato i suoi principi educativi riveleranno tutti i loro limiti…

Al suo primo lungometraggio di finzione, dopo alcuni corti e un documentario, Olivier Ayache-Vidal rivela, con Il professore cambia scuola (fiacca traduzione del ben più sottile Les grands esprits), uno sguardo filmico improntato ad un convincente grado di realismo, debitorio dei due anni trascorsi all’istituto Maurice Thorez de Stains osservando cinquecento studenti e quaranta professori nelle loro attività quotidiane. Avendo avuto pieno accesso ad aule, consigli di classe, sale insegnanti, il regista transalpino ha così potuto modellare i due ruoli principali (il professore interpretato dall’ottimo Denis Podalydès, membro della Comédie française, e lo studente di colore impersonato da Abdoulaye Diallo) su profili verosimili, provvisti delle necessarie sfumature caratteriali.

Sulla scia di altri recenti titoli francesi di stampo pedagogico, collocati all’interno del sistema educativo e veicolatori dell’indispensabilità dell’istruzione scolastica come azione riparatrice di ogni diseguaglianza (L’atelier, La mélodie, A voce alta), Il professore cambia scuola segue uno schema convenzionale di scontro/incontro tra due orizzonti opposti, generazionali e sociali, arrivando a stringerli in un unico fronte comune. Catturando dapprima l’interesse dello spettatore con la perfida, snobistica ironia intellettuale posata sul docente dell’Henri IV, poi svelandone gli sfiatati pregiudizi borghesi e una sotterranea solitudine esistenziale, il film di Olivier Ayache-Vidal, facendosi via via più serio e articolato, penetra nei meandri di una professione “vissuta dall’interno”, esponendola sullo schermo nelle sue difficoltà e contraddizioni e opacizzando i rigidi confini tra maestri (non sempre buoni) e allievi (non così cattivi).

Nessun “eroe senza macchia”, dietro la cattedra, nessun “somaro senza speranza” seduto tra i banchi: la rimessa in discussione di un modello pedagogico e la sua ritrovata, sensibile applicabilità individuale non possono che condurre all’integrazione tra mondi e culture: il prof farà tesoro del suo anno trascorso in banlieue riscoprendo un’umanità dimenticata, l’alunno imparerà la lezione della “scuola maestra di vita” per affrontare con maggiore consapevolezza il futuro. Le due facce di una stessa medaglia. Sulla quale, magari dopo aver letto Victor Hugo e i suoi Misérables, incidere parole come fiducia, pazienza, perseveranza.

Regia: Olivier Ayache-Vidal

Nazionalità: Francia, 2018

Durata: 106′

Interpreti: Denis Podalydès, Abdoulaye Diallo, Tabono Tandia, Pauline Huruguen, Alexis Moncorge

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.