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LEHMAN TRILOGY
l'epica del denaro

Nella tradizione ebraica, quando muore qualcuno, nella famiglia del defunto gli uomini non si tagliano la barba, al ritorno dal funerale si fa a pezzi un vestito, i parenti ricevono i visitatori seduti su seggiole addossate al muro. Così fanno i patriarchi della famiglia Lehman, ebrei tedeschi giunti in America nella prima metà dell’Ottocento, e così, seduti in platea, facciamo un po’ anche noi spettatori, venuti ad applaudire “Lehman Trilogy” l’ultimo spettacolo diretto da Luca Ronconi, morto pochi giorni dopo il debutto nel 2015. Così fanno anche gli attori in palcoscenico, tra cui alcuni storici interpreti del suo teatro, Massimo Popolizio e Massimo De Francovich su tutti, che sulla scena non si risparmiano mai, in una maratona memorabile che ha il sapore di un tributo al Maestro di una vita.

“Lehman Trilogy” è senza dubbio uno spettacolo “ronconiano” nelle sue macchine sceniche di botole e pannelli scorrevoli, nella scenografia essenziale, nella direzione precisa e serrata degli attori e anche nella scelta di un tema, quello della finanza, che il regista aveva già scelto di affrontare altre volte, in particolare con “La compagnia degli uomini” di Edward Bond. Da tempo Ronconi indagava in modo personalissimo i temi della contemporaneità, mettendo a nudo gli ingranaggi che sottendono al sistema mondiale, e l’epopea della famiglia Lehman, diventata l’emblema del crollo del potere finanziario, non fa eccezione.

Ronconi veste tutti i personaggi con una tuta da lavoro da cui sbuca l’abito elegante dei banchieri, sono tutti operai al soldo degli affari, padroni del mondo ma schiavi di loro stessi, erosi dal denaro e terrorizzati dal fallimento, incapaci di dormire sonni tranquilli, perseguitati da incubi terribili che si tramandano di padre in figlio. Mancano quasi totalmente le donne (tutte interpretate dalla brava Francesca Ciocchetti), relegate a fare le madri senza alcuna voce in capitolo, in un mondo che sembra pensato solo per uomini, possibilmente ebrei (“Wall Street è chiusa di sabato anche perché, essendo shabbat, sarebbe deserta”). Eppure, in questo desolante quadro, il testo sospende ogni giudizio morale, c’è invece – come sempre nel teatro di Ronconi – la volontà di descrivere un fenomeno, di disegnare personaggi e soprattutto di fare teatro, grazie a un lavoro incessante sulla recitazione e sulla messa in scena che ricorda quello di un mosaicista di cui si ammira la precisione e la capacità di non perdere mai lo sguardo d’insieme. Ecco quindi emergere un’epica moderna, un mondo di eroi-umani non privo di sfumature amare ma anche di ironia e leggerezza, che rende lo spettacolo un atto culturale necessario.

Il testo di Stefano Massini racconta tutta l’epopea della famiglia Lehman, a partire dallo sbarco del patriarca Henry in America l’11 settembre 1844 fino ad arrivare al 15 settembre 2008, centosessantaquattro anni dopo, quando l’impero Lehmann Borthers fallirà definitivamente a causa della crisi dei mutui subprime.

In questo secolo e mezzo i Lehman cambiano pelle, con loro si evolve tutto il sistema finanziario mondiale, si passa dall’economia reale alla finanza, dove ogni riferimento alla realtà è sepolto da girandole di percentuali. L’epopea Lehman prende avvio da tre fratelli: Henry, “la mente”, il più anziano, interpretato da un soave Massimo De Francovich, il secondo Emanuel, detto “il braccio”, sempre pronto all’azione e incarnato da Fabrizio Gifuni, e poi il terzo, Mayer, “la patata”, a cui dà volto e corpo un Massimo Popolizio in stato di grazia, una delle migliori interpretazioni della sua pur straordinaria carriera. Da commercianti di tessuti i tre fratelli – grazie all’incendio delle piantagioni in Alabama – diventano mediatori del mercato del cotone, poi, attraversando la guerra di secessione americana, si trasformano in banchieri e iniziano ad operare nella Borsa di New York. All’inizio del Novecento alla vecchia generazione subentra Philp Lehman (impersonato da un ottimo Paolo Pierobon), metodico e cinico, che porta la Lehman ai vertici della finanza mondiale ma inizia a perdere i valori della famiglia: non a caso il suo sarà un funerale moderno, non più scandito dalla liturgia ebraica e dal legame con l’Europa “come fanno quegli ebrei poveri che arrivano ora a New York”. Arrivano anni ’20 del Novecento, Herbert Lehman (Roberto Zibetti) sceglie la carriera politica e diventa Governatore di New York mentre suo cugino Robert (Fausto Cabra) riesce a traghettare la società superando la crisi del ’29 fino agli anni ’60, riempiendo l’America “di televisori, di telefoni, di consumo”. Sono loro gli ultimi eredi della dinastia, alla morte di Robert, la Lehman Brothers finisce in mano a trader aggressivi e senza scrupoli e il declino si fa inarrestabile, fino al crollo definitivo del 2008.

In scena al teatro Argentina di Roma fino al 18 dicembre.

Lo spettacolo è diviso in due parti: “Tre fratelli” e “Padri e Figli”

 

LEHMAN TRILOGY

di Stefano Massini

regia Luca Ronconi

con (in ordine di apparizione) Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio, Martin Ilunga Chishimba, Paolo Pierobon, Fabrizio Falco, Raffaele Esposito, Denis Fasolo, Roberto Zibetti, Fausto Cabra, Francesca Ciocchetti, Laila Maria Fernandez

scene Marco Rossi

costumi Gianluca Sbicca

luci A. J. Weissbard

suono Hubert Westkemper

foto Luigi La Selva

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Sull'autore

Marina Saraceno

Diplomata all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" e laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi sul teatro tradizionale cinese. In teatro ha lavorato con Luca Ronconi, Mario Scaccia, Jacques Decuvellerie. Ha lavorato per la comunicazione e la promozione culturale, tra gli altri, con il Teatro Nazionale di Roma, L'Associazione Italiana Editori, l'Ente Teatrale Italiano, Rai Trade, l'Unione des Theatres d'Europe, il Teatro Stabile del Veneto, il Progetto Domani per le Olimpiadi di Torino e la Fondazione Comunicazione e Cultura della CEI. Come giornalista ha collaborato con l'agenzia com.unica, il bimestrale Sale della Comunità, il settimanale pagina99