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LETTURE: L’innesto. Realtà e finzioni da Matrix a 1Q84

(Questo articolo di SARA GAROFALO è stato pubblicato sul n.5/15 della rivista SdC – Sale della Comunità)

 

Il volume si propone di investigare, attraverso due percorsi su cinema e letteratura, il complesso e problematico rapporto con il reale che emerge dalla lettura di alcune opere contemporanee. In particolare l’attenzione dei due autori, Valentina Re e Alessandro Cinquegrani, si appunta sul ventennio compreso tra gli anni Novanta e il primo decennio del Duemila, nel quale si verifica un sensibile addensamento di film e testi letterari, tra loro anche molto differenti, accomunati però dalla caratteristica di mettere in discussione la percezione comune della realtà fino a insinuare il dubbio sulla sua stessa esistenza (o quantomeno sull’esistenza di un’unica realtà) e sulla possibilità per il soggetto di potervi in qualche modo attingere. Si tratta di un tema che affonda le radici nelle origini della filosofia occidentale, ma che, come viene sottolineato nell’introduzione al volume, si è connotato negli ultimi anni di sfumature che ne amplificano la portata, alla luce, per quanto riguarda la storia del cinema, da una parte del «netto delinearsi di un’eredità dickiana» (del proliferare cioè di storie ispirate più o meno liberamente ai racconti e ai romanzi di Philip K. Dick, o che ne sono evidentemente debitrici), dall’altra del «dispiegarsi di una riflessione di matrice postmoderna sulla “scomparsa della realtà” e sui simulacri». Diversa, invece, la scelta che guida la riflessione condotta in ambito letterario: accantonando il discorso sulla fantascienza, «in quanto è apparso un campo d’analisi settoriale nello spazio letterario e dunque meno utile a rappresentare un’epoca», si è scelto di avviare il discorso a partire da Pulp Fiction e dai suoi influssi sulla narrativa della seconda metà degli anni Novanta, per poi approdare, negli anni Zero, alla definizione di un nuovo rapporto tra opera e realtà, ponendo così una netta cesura tra ciò che gli autori indicano come due «sensibilità opposte» che si esprimono nel corso del ventennio preso in esame.

Metacinema e mondi a incastro

Il percorso cinematografico di Valentina Re è delineato a partire dal concetto di «dominante ontologica» preso a prestito da McHale: sotto questa insegna possono raccogliersi le opere di finzione che si interrogano tanto profondamente sulla natura del reale da mettere in discussione lo statuto del mondo che ci circonda e i concetti stessi di “realtà” e di “mondo” insediati nella mente dell’uomo. Tratto tipico delle opere a dominante ontologica è la presentazione di mondi costruiti come scatole cinesi (chinese-box worlds), che si inseriscono l’uno dentro l’altro in un gioco di rimandi potenzialmente infinito. Con uno sguardo alla sistematizzazione di Gerard Genette, si evidenziano quattro tecniche che sostengono questa struttura, di ascendenza tipicamente letteraria: il regresso (o ricorsività infinita), il trompe l’œil, la mise en abyme e la metalessi. Ad essa viene affiancata la categoria di mind-game film, attinta dalla riflessione di Elsaesser, che pone l’accento su quelle pellicole che mettono in crisi il tradizionale rapporto tra film e spettatore, tanto che «il mondo rappresentato è preso per vero» dal pubblico, fino a dar vita a fenomeni come quello del fandom.

Con l’ausilio di questi strumenti critici, Re individua e commenta un corpus di film che si collocano rappresentativamente alla fine degli anni Novanta e alla fine degli anni Duemila. Nel primo periodo sono compresi Matrix, eXistenZ, The Truman Show, Pleasantville, Apri gli occhi; nel secondo si collocano Source code, Shutter Island, Inception. Il capitolo si conclude poi con l’analisi di Eternal Sunshine of the Spotless Mind e Synecdoche, New York, che vengono presentati come «ibridazioni di genere», testimonianze di una fase di transizione e di passaggio tra i due periodi oggetto dell’indagine.

Tra figli del pulp e fame di realtà

Il discorso condotto da Alessandro Cinquegrani, come si diceva, parte ripercorrendo nel dettaglio la trama di Pulp Fiction. Si mette in evidenza la complessità della sceneggiatura della celeberrima pellicola di Tarantino, definita «un manifesto dell’epoca che si sta seguendo […], la capostipite di una serie di eredi letterari e cinematografici», sia per la particolare sfumatura che il concetto di fiction riveste nell’opera, sia per il suo essere stata, in Italia, «punto di partenza di un filone letterario», quello, appunto, della letteratura pulp. Accanto ad essa si pone, come testo paradigmatico delle tendenze principali degli anni Novanta, Underworld di Don DeLillo, che «non tratta di mondi altri ma analizza il nostro, con quella razionalità che conduce allo spavento» e, pur non contemplando nella sua struttura una molteplicità di livelli diegetici, contiene «la spiegazione del perché questi sono necessari per spiegare un’epoca». L’analisi prosegue proponendo due “casi” che esemplificano e complicano allo stesso tempo la linea critica tracciata, i Canti del caos di Antonio Moresco e La famiglia Winshaw di Jonathan Coe.

Per quanto riguarda il decennio successivo, la lettura mette al centro Gomorra di Roberto Saviano e Troppi Paradisi di Walter Siti, sostenendo l’ipotesi di un «ritorno del reale» nello spazio letterario o quantomeno nell’interesse di pubblico e critica. Questa interpretazione viene sostenuta e ampliata includendo La vita come un romanzo russo di Emmanuel Carrère, Espiazione di Ian McEwan, la Pentalogia delle stelle di Mario Covacich e 1Q84 di Haruki Murakami.

 

 

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Sull'autore

Tiziana Vox

Operatrice culturale, dal 2009 collabora con l’Acec, seguendone il sito internet, l’attività editoriale e i progetti. Dallo stesso anno è responsabile della segreteria organizzativa Federgat, per cui cura anche la realizzazione del progetto I Teatri del Sacro.