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SOGNARE È VIVERE (Natalie Portman)
La complicata infanzia di uno scrittore

La Seconda Guerra Mondiale è appena terminata e Gerusalemme vive la storica trasformazione che, da città sotto il Protettorato britannico, la fa divenire la contestata capitale dello Stato d’Israele. Sono gli stessi anni dell’infanzia del piccolo Amos, trascorsi tra sogni e incertezze proprio mentre il solido legame tra i suoi genitori inizia a sfaldarsi a causa di vedute assai differenti. La profonda depressione che colpisce la madre però, se da una parte trasforma i propri sogni in tenebre, dall’altra acuisce la spiccata sensibilità del bambino.

Tratto da Una storia d’amore e di tenebra, il celebre romanzo autobiografico di Amos Oz in cui la propria vicenda personale è sagacemente mescolata con quella della nascita dello Stato d’Israele, l’esordio alla regia di Natalie Portman è un adattamento tanto ambizioso quanto inefficace. Scritto dalla stessa attrice d’origine israeliana, il difetto maggiore di Sognare è vivere – titolo scelto dalla distribuzione italiana che tradisce quello originario, negandogli l’ambiguità semantica che lo connota – sta nella sua adesione totale e incondizionata al testo originario. E dunque alla sua incapacità di emanciparsi dalla pagina scritta e di riuscire a trasporla in un diverso sistema linguistico (quello delle immagini e dei suoni).

Il più chiaro ed evidente segno di tale mancata elaborazione è la permanenza della voice over dell’autore. Oltre a diventare troppo spesso l’espediente per collegare una narrazione frammentaria, essa infatti crea una vertigine autoreferenziale che denuncia un’ambiguità di sguardo (l’autrice del film sceglie infatti di mettere in scena l’autore del romanzo, che a sua volta racconta una storia in cui mette in scena un personaggio l’identità della quale è assunta dall’autrice del film). E anche se tra scelte meno felici (la semplificazione lineare della complessa temporalità del romanzo) non mancano soluzioni espressive di valore (la fotografia desaturata in cui i neri vengono privilegiati o l’allestimento di un cast credibile ad esempio), la sensazione è quella di un lavoro più sentito che pensato, che esprime un’urgenza personale piuttosto che una necessità espressiva. Un lavoro che non riesce mai a diventare una riflessione sull’origine perché, a differenza del testo letterario, la storia (del dramma famigliare piccolo Amos) non si rispecchia mai veramente con la Storia (d’Israele).

Regia: Natalie Portman

Con: Natalie Portman (Fania), Gilad Kahana (Harieh), Amir Tessler (Amos)

USA 2015

Durata: 98’

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).