Perdere qualcuno di caro è esperienza di follia, dell’assurdo dolore che si impadronisce di noi. Vivere l’adolescenza è conoscere la folle età. My name is Emily e, ahimè, possiedo entrambe queste dimensioni, così tanto che mi sento il mare dentro e sento scorrere le montagne. Ho qualcosa che non va e come potrei non averlo con queste due premesse. Tutti, a turno, mi ricordano che ho questa interruzione di sistema ma quasi nessuno sa da dove viene l’anomalia. Solo Ander sembra attratto dal mio difettoso andare che non è malattia. La mia anima in pena è il frutto di una madre meravigliosa mancata all’improvviso, di un grembo caldo dove spesso mi appoggiavo e funzionavo a dovere e di un padre geniale finito nel tunnel psichiatrico per dribblare la paternità solitaria, l’elaborazione del suo lutto e il mistero della vita. Era meglio starsene a parlare con i segreti delle molecole fino ad impazzire che dialogare con il dolore di una ragazzina rimasta sola.
Se fossi Emily mi presenterei così… con tutto il mio malessere speciale e fecondo che si dipana in My name is Emily, l’opera d’esordio diretta da Simon Fitzmaurice e distribuita dalla novella casa di distribuzione Tycoon. Una storia che tentenna poco e fila molto delicata come la tenerezza, la fiducia, la lentezza, la costanza, la pazienza – in altre parole l’amore – che necessitano gli eventi della perdita e dell’adolescenza.
Da questi due ragazzi on the road si impara la purezza del fidanzamento con istinto di dono totale all’altro, di scoperta attraverso i sensi che un’altra anima può capire il mio disagio, può abitarlo con me e può presentarmi come suo fidanzato anche se siamo entrambi un po’ strani e forse quasi quasi difettosi. Mio diletto (direbbe il Cantico dei Cantici) che a ben vedere potrebbe suonare anche Mio difetto… Un film da vedere, contemplare, meditare e soprattutto programmare nelle Sale della Comunità!!!