Liane ha 19 anni. Coraggiosa, sfrontata e piena di vitalità, abita con sua madre e la sorella minore in un caotico appartamento di Fréjus, nella Francia meridionale. Ossessionata dalla bellezza e dalla necessità di diventare “qualcuno” grazie al proprio corpo, vede i reality televisivi come la sua opportunità per essere adorata. Il fato le sorride quando partecipa ai provini per la trasmissione Miracle Island. Verrà scelta?
Lo sguardo interpellato
Liane si guarda allo specchio e si lascia interpellare dal suo riflesso: cosa rivela quell’immagine? Cosa comunica a lei e agli altri? Ma soprattutto, cosa significa avere un corpo e ricevere sguardi mettendosi in mostra? Cosa implica, invece, esprimere la propria sensibilità ed essere un corpo? È Liane il diamante grezzo a cui allude il titolo del film ma, come lei, ciascuno può rivedersi e ritrovarsi di fronte a quella domanda di senso che scavalca qualsiasi condizione e fase della vita: cosa significa il fatto che siamo esseri con un corpo? Liane, che già dal nome ammicca alla storia di Anne-Marie Chassaigne (“cortigiana, principessa e santa ballerina”, scrittrice della Belle Époque nota con il nome d’arte Liane de Pougy, fu la donna più desiderata e amata del mondo, amica di Max Jacob, Jean Cocteau, Colette e Reynaldo Hahn, la sua vita ispirò Marcel Proust per tratteggiare la figura di Odette de Crécy) incarna una modalità di relazione con il corpo molto attuale e il film di Agathe Riedinger si interroga sulla nostra epoca, a proposito del corpo, sulle sue dinamiche, sulla relazione che ha con la vita dello “spirito”. Un film che guarda la fragilità di una giovane donna che è alla ricerca della propria identità.
Il paesaggio dell’anima di Una ragazza brillante
Il guardare implica aspettative e giudizio. E il mondo rappresentato da Agathe Riedinger si propone come un grande tribunale che osserva, contempla, adula, rigetta. C’è lo sguardo con cui la società guarda Liane, lo sguardo di amore/odio del suo pubblico – quello che la nutre – e poi abbiamo lo sguardo di disprezzo di Liane verso le sue amiche e verso gli uomini. E naturalmente il fascino che le icone del reality e dei social media esercitano su di lei. Come dichiarato dalla stessa regista: «Ho scelto di mostrare i reality show solo attraverso lo sguardo di Liane, perché non volevo rappresentarli visivamente. Quindi gli spettacoli sono sempre qualcosa che ha luogo fuori scena. Ascoltarli senza vederli mi ha permesso di ricreare il mistero, il potere che Liane vede nei reality». Più di ogni altra questione, allora, diventa interessante il modo con cui il desiderio di relazione e realizzazione di Liane venga veicolato da una ricerca silenziosa che la conduce ondivaga di fronte alla mancanza di uno sguardo particolare: quello di sua madre che dovrebbe farla sentire speciale e vista, considerata per quello che è. Seguendo il solco di questa sottotrama, oltremodo angosciante risulta la soluzione attraverso la quale questo sguardo materno viene sostituito dallo sguardo della direttrice del casting che convoca Liane e la chiama a nuova vita.
A completamento di questa struttura onniguardante, il film mette in scena anche una certa religiosità che converge tanto nell’uso di un preciso vocabolario religioso quanto in una riflessione non banale sulla fede di Liane che pervade l’intreccio: la ragazza prega sul treno e insegna a Dino la preghiera a San Giuseppe e vuole partecipare ad un reality che si chiama Miracle Island. Se a questo uniamo pure la decisione di Liane di mirare ad una perfezione finalizzata al sentirsi amata, si evince come il corpo diventi un autentico simulacro autotrascendente e autodeterminato. Ancora la Riendiger: «Il vocabolario usato, la direttrice del casting, il chirurgo plastico, le preghiere, i filtri, una macchina sportiva mostrata in un riflesso, la devozione nel suo complesso: il film è punteggiato da motivi religiosi, che rientrano nel tema più ampio del mito e dell’illusione. Due elementi sintomatici delle società in crisi, due pilastri essenziali dei reality televisivi. Quindi, quando Liane partecipa ai provini per Miracle Island, le porte del Paradiso si aprono un po’. D’ora in poi, lei dovrà essere ammirata o invidiata, ma in ogni caso la gente parlerà di lei. E se lo farà, questo sarà un segno della sua ascesa».
I legami di Una ragazza brillante
Da Simone Weil che sosteneva «assumendo la nostra carne mortale, il Figlio di Dio ha voluto partecipare della nostra debolezza, della nostra fragilità. Una fragilità che non oscura più la bellezza del nostro corpo» a The Substance il passo non è così breve ma le analogie affiorano, così come la distanza tra Reality di Garrone e il recentissimo The Ugly Stepsister, qualifica il mondo dentro il quale si manifesta tutto il senso del film di Agathe Riendiger, qui al suo primo lungometraggio presentato in concorso a Cannes.
Un film che porta lo spettatore di fronte a tante ambiguità e contraddizioni della messa in scena del corpo di Liane, come sottolinea la regista: «L’ipersessualizzazione e la verginità di Liane non sono necessariamente due concetti che si escludono a vicenda. Liane si ipersessualizza volontariamente per attirare l’attenzione, ma non sente alcun desiderio sessuale. Si è barricata dietro la sua immagine, tanto che si sente completamente scollegata dal suo stesso corpo e dalle sue sensazioni. È consapevole del fatto che sta andando contro quello che la società si aspetta da lei in termini di sessualità, cosa che genera un’enorme quantità di pressione. Ma la sua verginità sostiene la sua sensazione di sentirsi diversa, e quindi consacrata a un destino di grandezza».
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