Con El 47 – Bus 47 di Marcel Barrena (Open Arms, 100 Metri), in spagnolo e catalano, torniamo a lottare per i nostri diritti, per i diritti dei più fragili o dei più esposti, per i quartiere e le borgate delle nostre città. Il cinema militante allontana divano e algoritmo per aprire lo sguardo dello spettatore a quanto ancora si può fare per la qualità di vita di tante persone e territori. È la geografia del si può fare di più e anche meglio che bussa alla porta delle amministrazioni locali anche grazie alla spinta della settima arte.
Lo sguardo interpellato
Il film ci chiede: la militanza pacifica è passata di moda? Di cosa si compone una lotta costante, ma non violenta? Perché mi stanco e non voglio più partecipare alla mia comunità? Perché, invece, mi riattivo e per chi? Attorno a me, nel piccolo di dove godo la mia routine, c’è ancora strada da fare? Conosco chi ha lottato per alcuni diritti e servizi che ogni giorno rendono la mia vita commestibile?
Il paesaggio dell’anima di Bus 47
Che bello l’incipit-preambolo di Bus 47. Una cazzuola da muratore fa il suo lavoro, si agita sullo schermo in primo piano mentre una voce femminile dichiara le proprie origini raccontando la storia immobiliare di quel fazzoletto di terra e riportandoci agli anni ’50 quando tanti cittadini spagnoli emigrarono senza niente verso le grandi città come Barcellona. Trovarono dimora nelle periferie più estreme come Torre Baró, l’area attorno al castello che inizialmente avrebbe dovuto ospitare delle architetture di lusso e invece diventò una baraccopoli. Negli anni ’70 aree come questa, in diverse parti della Spagna, non avevano ancora l’elettricità, l’acqua corrente o i servizi basici come un bus che evitasse tutta la salita ai suoi abitanti.
Il film incentrato sulla figura realmente esistita dell’autista Manolo Vital viaggia sul doppio binario ’50-’70 con un buonissimo lavoro sugli attori, i costumi e le scenografie. Gli interpreti Eduardo Fernandez (Manolo) e Clara Segura (Carmen, un tempo suora e poi seconda moglie di Manolo) risultano perfetti per l’opera di Barrena, originario lui stesso di Barcellona, e perfettamente a loro agio nell’abbraccio dei residenti di Torre Baró coinvolti nel set, nel recupero delle storie e nell’opera di vivacizzazione della memoria collettiva.
Tutti ora sappiamo che Torre Baró es Barcelona: la sensazione alla fine del film è di essersi fatti un tatuaggio di cui andare fieri, grazie anche al sapiente montaggio di Nacho Ruiz Capillas che indovina perfettamente i tempi del cuore senza mai dimenticare l’afflato civile sostenuto appieno dalla compositrice Valeria Castro che ci porta a El borde del mundu.
I legami di Bus 47
A distanza di pochi giorni sugli schermi è arrivato sia Bus 47 (Movies Inspired) sia The teacher (Eagle) di Farah Nabulsi presentato poco prima al Torino Film Festival e ambientato in Cisgiordania. Per alcuni aspetti le due opere hanno delle somiglianze davvero spiccate come l’approccio militante (la regista è un’attivista britannica di origine palestinese) o come il tema della casa e del suo abbattimento, con l’aggiunta dell’obbligo per gli ex residenti palestinesi di pagare anche i costi di demolizione.
Il folle sfinimento dei protagonisti condito di rabbia, senso di ingiustizia e smarrimento estremo ricorda esattamente quello iniziale di El 47 dove la comunità vede più volte azzerare le proprie costruzioni perché, secondo una legge urbanistica del tempo, all’alba non erano ancora coperte da un tetto. Di fronte a questo scempio agito con arroganza e malvagità i componenti delle diverse famiglie impararono a fare squadra per terminare il tetto entro l’alba, concentrandosi volta per volta su una casa sola. Fecero di necessità virtù ma soprattutto di amicizia e fratellanza. Se in questo caso a Torre Baró si percepisce una via d’uscita ricca di speranza, non altrettanto si può dire per di The teacher dove la complessità atavica del conflitto, nel suo perpetuarsi e rinnovarsi, sembra di fatto impedire una militanza realmente pacifica al protagonista Basem El-Saleh, il professore di lingue, contrariamente a quella dell’autista Manolo Vital.
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