Arriva il film che non ti aspetti: presentato all’ultima Mostra del cinema nella sezione Orizzonti Extra, il francese Frédéric Ferrucci ambienta un palpitante film di resistenza alle mafie e alla speculazione immobiliare con protagonista il talentuoso Alexis Manenti, pastore nel paradiso della Corsica.

Lo sguardo interpellato

Il film ci chiede: turismo e pastorizia possono convivere? Quali vie di resistenza quando il capitalismo e l’illegalità si mangiano le coste delle isole e delle regioni balneari? Quale peso e quali strategie possono avere la tutela dei mestieri antichi e del paesaggio all’interno della Comunità Europea? Plurime e complesse sono le domande che emergono dal secondo lungometraggio di genere del regista di origine corse, un western d’essai al cardiopalmo rivisitato con le odierne logiche social.

Il Mohicano

Il paesaggio dell’anima di Il Mohicano

La prospettiva di un ovile sul litorale è il letterale mindset da cui Ferrucci solleva il velo di crimine e omertà che si nasconde tra le coste e l’interno montuoso della superba isola francese. Il Mohicano è, infatti, un film circolare che nel finale torna esattamente da dove era partito non lasciando incustodito il futuro di questo belvedere caprino sul Mediterraneo e garantendo un passaggio di testimone tra generazioni e generi –  il pastore Joseph Cardelli (Alexis Manenti) e la nipote Vannina (Mara Taquin) – che non accettano di scambiare il tesoro di un territorio con il capitale sciorinato dai signori della malavita immobiliare.

Joseph non fa nemmeno a tempo a rendersi conto della proposta che già è passato dalla parte del torto difendendosi da un’aggressione armata dettata dal suo sfacciato disinteresse a lasciare l’ovile per di fronte ad una considerevole somma. Lasciando a terra ferito il figlio del padrino, il pastore fuggitivo firma la sua condanna: le foreste della catena montuosa vengono scandagliate sia dalla criminalità organizzata sia dalla polizia locale, non lasciando inevase con conseguenze estreme nemmeno le terre da cui salpare per l’altra isola dirimpettaia oltre le bocche di Bonifacio. In questo clima da bracconieri, grazie alla diffusione di notizie nei social da parte della nipote Vannina, rispunta la propensione mitologica di queste terre capaci di perpetuare figure locali come icone leggendarie. Ed è così che il volto di Joseph inizia a comparire dipinto ai “crocicchi delle strade” (Matteo 22, 9), mentre i cacciatori degli appezzamenti gli danno la caccia.

La comunità si spacca sempre di più tra coloro che hanno venduto i loro appezzamenti – i buoni motivi per giustificarlo non mancano mai e in testa c’è sempre quello mafioso, per definizione, del tengo figli – e che sbandierano l’anima ricettiva dell’isola che decolla dritta verso l’overtourism e quelli, invece, che prendono le parti di Joseph occupandosi delle capre in sua assenza, offrendogli ospitalità (anche digitale), rischiando condanne e perfino la vita per lui. Se senza dubbio è tutta un’altra Corsica rispetto a quella che ci accoglie quando sbarchiamo per le vacanze, è altrettanto vero che è proprio questo volto irrisolto e resiliente, così autentico quanto preoccupante, a rendere il film più che valido e di forte interesse anche per la platea nostrana.

Un’ode speciale va all’interpretazione di Manenti che, a partire da una sceneggiatura sempre di Ferrucci estrapolata dai racconti di pastori locali, riesce ad imprimere al suo personaggio quella giusta complessità che tiene insieme un carattere contadino introverso che esprime una sensibilità silenziosa eppure acuta con una fisicità lontana dalla virilità stereotipata.

Come una delle sue capre ci fa salire e scendere gli irti pendii dell’Alta Rocca alla ricerca di una salvezza di sé che passa per l’amore per la propria terra, le tradizioni, gli animali e il paesaggio. Il mohicano è un viaggio verso un mondo arcaico dove, bandita ogni retorica, si vive di conflitti gestiti anche con le pietre che ricordano, ahimè, che il male esiste e all’uomo tocca anche di difendersi.

I legami di Il Mohicano

In testa al film c’è un vecchio pastore che racconta che sulla costa sono diventati tutti matti e che un tempo quegli appezzamenti sul litorale non valevano niente e che proprio per questo, non a caso, venivano dati alle figlie femmine. È un incipit potente che pone l’opera fin da subito in relazione a due orizzonti fondamentali per capire il cambio di passo in atto: il paradigma odierno del capitale a cui tutto viene ricondotto e uno tipicamente del passato orientato al trattamento discriminatorio nei confronti delle donne e non ancora totalmente archiviato.

Per questo uno dei legami più preziosi e liminali di Il mohicano è sicuramente il film Anna di Marco Amenta (Fandango, 2023) ambientato in Sardegna e che racconta la vicenda di una pastora risoluta quanto Joseph pronta ad immolarsi alla causa delle sue pecore e del terreno di suo padre, un appezzamento che pare essere stato comprato dal proprietario del resort che stanno costruendo accanto alla fattoria della donna. Anna e Joseph resistono in modi e luoghi diversi, eppure la loro battaglia è la medesima e insieme costituiscono un dittico insulare sul Mediterraneo che pone questioni oggi eticamente ineludibili. Un altro legame inevitabile è quello con lo spagnolo Alcarràs – L’ultimo raccolto di Carla Simón, Orso d’Oro a Berlino 2022 targato I Wonder Pictures, ambientato in Catalogna e con protagonista un’intera famiglia che da generazioni vive del frutteto dove il proprietario del terreno ora vorrebbe sistemare un esercito di pannelli solari col conseguente abbattimento di tutti gli alberi di pesco. Si tratta di un altro dramma rurale che spacca la piccola comunità domestica e nel quale la civiltà contadina viene orientata con forza sempre più verso uno sfruttamento intensivo della terra e ad essere immemore della propria storia di salvezza. Anche qui, come in Anna, mancano i documenti scritti a garanzia dei contadini e dei pastori, ma soprattutto manca una visione nella comunità locale, quella che Il mohicano porta avanti con la sua leggendaria assenza. Come dice la nipote: «Sono sicura che sia ancora vivo».

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.