Recensione di Emilia Perez da Cannes 77 a cura di Francesco Crispino
LA VIDEORECENSIONE
IL TESTO
Jacques Audiard è un regista eclettico, certamente non prolifico – ha diretto appena 10 lungometraggi in trent’anni di attività – ma capace di lasciare sempre la propria personale impronta in ognuno dei generi che ha affrontato. Un autore talvolta sottovalutato, ma dalla sontuosa filmografia, che tuttavia raramente ha raggiunto vette così elevate come nell’operazione Emilia Perez, il cui sorprendente esito costringe anche a riconsiderane l’intero percorso espressivo. Perché qui non solo si dimostra capace di incrociare più generi (ovvero il melodramma, il narcos-movie e il musical) in un ammirabile equilibrio, così come di adattare perfettamente la scrittura all’idea di regia in una liquida fluidità narrativa, ma anche di far trovare il diapason performativo a tutti i corpi attoriali, con menzione speciale a Zoe Saldana e a Karla Sofía Gascón le cui vibranti interpretazioni donano una straordinaria intensità all’opera.
Tanto che la vicenda, di cui è protagonista un avvocatessa messicana contattata dal leader di un importante cartello di narcotrafficanti che la assume segretamente per cambiare sesso e vita, diventa secondaria rispetto alle modalità con cui viene messa in scena. Ovvero la dimensione narrativa con le sue trasparenti incongruenze è ampiamente e continuamente messa in ombra dalla scintillante dimensione formale. Ne è dimostrazione il fatto che, anche quando la narrazione potrebbe dar l’impressione di scivolare nel patetico, sono proprio le scelte espressive a rifocalizzare l’enunciazione su una prospettiva umanistica, in grado di far amare allo spettatore, esattamente come fa l’autore, ognuno dei personaggi.