La recensione di Fuori, il nuovo film di Mario Martone presentato in anteprima al festival di Cannes 78. Ecco il testo della scheda a cura di Anna Maria Pasetti
Si concentra sul racconto di un periodo emblematico della vita di Goliarda Sapienza l’undicesimo lungometraggio di finzione di Mario Martone titolato Fuori, girato su soggetto di Ippolita di Majo che l’ha anche co-sceneggiato con lo stesso regista. Alla base del film, ambientato nell’estate romana del 1980, sono i due testi che la Sapienza scrisse in seguito alla detenzione per furto, L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio. È dunque proprio sulla dicotomia tra il “fuori” e il “dentro” al carcere che va a riflettere la narrazione del nuovo lavoro di Martone, un film interamente e per lui sorprendentemente al femminile, governato dal punto di vista della protagonista cui offre corpo, volto e anima Valeria Golino, in una sorta di continuità cross-filmica con la serie da lei diretta sul capolavoro di Sapienza, L’arte della gioia.
Un dramma verticale sulla ricerca dell’identità più profonda di Goliarda come donna e scrittrice che, giunta a 55 anni, si trova sospesa fra dubbi e scelte, comprendendo gradualmente che quei mesi “dentro” hanno corrisposto al periodo più libero della sua esistenza. Per questo fugge dalle auto-definizioni ma lascia che sia il “fuori da sé” – ovvero le sue ex compagne di Rebibbia e ora amiche – a “definirla”, e in particolare la giovane Roberta, interpretata da una magnifica Matilda De Angelis, a risvegliare in lei aspirazione e ispirazioni sopite, danzandole attorno, divertentendola e irritandola a ogni incontro. I codici estetici e poetici adottati qui da Martone, che da sempre ama raccontare le intime trasformazioni dei suoi personaggi, ambiscono a restituire l’ineffabilità e l’inafferrabilità di Sapienza attraverso una enunciazione in perenne sospensione, perché tale è lo sguardo di Goliarda sul mondo laddove lei è un “fuori” dai mondi comuni. Così il titolo del cineasta napoletano si carica di plurimi significati, dall’extra carcerem al fuori auto-coscienza, passando per l’estraneità alle convenzioni.
Giocando sotto le magnifiche luminosità della Roma fotografata da Paolo Carnera, e lavorando mirabilmente sugli spazi inquadrati (che spesso assumono valenze metaforiche) Fuori si eleva a canto cinematografico vibrante, straniante e vitale nel suo capovolgimento emozionale, perché è solo attraverso le regole del “dentro” che si può comprende come funziona il “fuori”.
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