A Sokcho, località sudcoreana quasi al confine con la Corea del Nord, la venticinquenne Soo-Ha si paga gli studi in letteratura francese lavorando come cuoca e cameriera in una vecchia pensione per turisti, in vista del matrimonio con il proprio fidanzato. Un giorno, nella cittadina portuale sbarca Yan Kerrand, illustratore francese in cerca di un alloggio e di ispirazione per la sua nuova graphic novel. La provenienza geografica e la ruvida reticenza dell’uomo risvegliano nella ragazza alcune domande sulla propria identità, in particolare sul padre, un ingegnere francese che lei non ha mai conosciuto e del quale la madre non ama affatto parlare…
Adattamento cinematografico del romanzo Inverno a Sokcho di Elisa Shua Dusapi, cresciuta tra Parigi e Seul, Un inverno in Corea è il lungometraggio d’esordio di Koya Kamura, il cui profilo biografico multiculturale (nato e cresciuto a Parigi, ma con madre francese e padre giapponese) aderisce in forme evidenti al plot del film e, prima ancora, al testo letterario da cui deriva l’opera filmica. Il tema di fondo di Un inverno in Corea è infatti la sospensione identitaria, rintracciabile nelle matrici famigliari in bilico tra Occidente e Oriente: la ‘fisionomia esistenziale’ di Soo-Ha, cresciuta in Corea dalla madre, è determinata non a caso più da soggetti esterni che da fattori endogeni, soggiacendo alle aspettative della sua genitrice (della quale la ragazza sembra ripercorrere le tracce sentimentali) e alle volontà del suo fidanzato (che sogna di fare il modello e va in cerca di fortuna a Seul). La stessa, non comune impalcatura fisica della studentessa (l’alta statura, i grandi occhiali che le segnano il viso) è oggetto di una pressione sociale destabilizzante, che mira a conformarsi a standard di bellezza distorti, come il ricorso alla chirurgia estetica per rimodellare il corpo.
Questa ‘estraneità’ ad un preciso contesto di appartenenza è ben restituita sullo schermo da una narrazione pacata ma sottilmente inquieta, ulteriormente increspata dall’arrivo della possibile figura paterna (incarnata da Roschdy Zem, ultimo, singolare elemento di connessione attoriale tra il Paese transalpino e l’Asia orientale dopo Isabelle Huppert in In another country, Una viaggiatrice a Seoul, Viaggio in Giappone, Romain Duris in Ritrovarsi a Tokyo, Catherine Deneuve in Spirit World). La meticolosa preparazione di piatti a base di pesce, con la quale la madre di Soo-Ha ribadisce ‘dall’interno’ le proprie radici culturali, così come il disegno, attraverso il quale l’illustratore francese comunica ‘all’esterno’ il suo mondo interiore, sono i canali di scorrimento sia di rassicuranti tepori domestici, sia di tensioni e sbandamenti relazionali. L’aggiunta di sequenze animate, inoltre, a evidenziare lo stato emozionale di Soo-Ha, scosso e frastagliato, permette al film di Koya Kamura di muoversi su una seconda linea narrativa, più libera e introspettiva, in funzione non antitetica ma complementare a quella tradizionale.
Il merito principale di Un inverno in Corea è proprio quello di riuscire a ricreare uno spazio di elaborazione esistenziale nel quale la protagonista si ritrova a galleggiare, osservata nelle lunghe passeggiate insieme all’ospite straniero in un rapporto scandito da gesti ripetuti e dialoghi essenziali. Un perimetro affettivo rarefatto, il loro. Un legame fragile, quasi impercettibile, anche se le domande non poste e i desideri taciuti avrebbero forse meritato un approfondimento maggiore. Un’elettricità che il film non cerca, fin dall’inizio. Ma che, invece, avrebbe potuto generare intriganti cortocircuiti.
Regia: Koya Kamura
Interpreti: Bella Kim, Roschdy Zem, Park Mi-hyeon, Ryu Tae-ho, Gong Do-yu
Nazionalità: Francia, Corea del Sud, 2025
Durata: 104′
