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GAGARINE – PROTEGGI CIÒ CHE AMI (Fanny Liatard, Jérémy Trouilh)
Banlieue e realismo magico

Alla periferia sud di Parigi l’enorme complesso residenziale Cité Gagarine, un tempo simbolo di modernità e progresso, sta per essere demolito dopo anni di degrado. Tra le 370 famiglie in attesa di essere assegnate ad altre abitazioni c’è chi non intende andarsene. Tra questi, il sedicenne Youri, che lì è cresciuto e che non si rassegna a dire addio ad un luogo per lui così significativo. Dall’alto del suo appartamento coltiva il sogno di diventare un astronauta. Così, quando gli alloggi attorno a lui si svuotano e sul posto arrivano gli operai e sorgono i cantieri, il ragazzo, che porta il nome del primo uomo nello spazio, intraprende con i suoi amici Diana e Houssam una missione impossibile per salvare Gagarine…

Scritto da Fanny Liatard e Jérémy Trouilh (insieme a Benjamin Charbit) e diretto dalla coppia di registi transalpini, al loro esordio nel lungometraggio di finzione, Gagarine – Proteggi ciò che ami è un progetto nato dalle ceneri del precedente, omonimo cortometraggio dei due cineasti ed è stato effettivamente girato, in collaborazione con i residenti di Ivry-sur-Seine, tra gli appartamenti e i cortili dell’enorme complesso residenziale poco prima della sua demolizione, avvenuta nell’estate del 2019.

La dimensione di realtà che ‘abita’ Gagarine è la premessa fondamentale di un film che, partendo proprio dai fatiscenti alloggi popolari in mattoni rossi (e dagli inquilini che vi risiedevano), si addentra felicemente nei territori del realismo magico, compiendo un sorprendente viaggio in cui gli echi di cronaca, la descrizione dell’adolescenza e lo sguardo sulla banlieue (stavolta privo di rabbia e violenza) seguono le orme della fantascienza e i labirinti della fantasia. Cité Gagarine è, per il giovane Youri, ben più di un quartiere in cui abitare: è una intima, profonda, connessione esistenziale, una ‘fabbrica dei sogni’, costruita sui pilastri della quotidianità, che nutre il suo immaginario e fa da scudo alle asprezze di una vita solitaria, un ‘ventre materno’ che il ragazzo si rifiuta di lasciare, un’immensa ‘astronave’ pronta a decollare pur di non farsi imbrigliare a terra ed essere rasa al suolo. Non è un caso che gli oggetti di recupero con i quali Youri costruisce una capsula spaziale siano prelevati da case ormai deserte: sono tracce di memorie condivise, ricordi da non disperdere, frammenti di un mondo che sta per spegnersi definitivamente, con l’arrivo delle prime ruspe, e che, invece, Youri cerca di tenere ancora acceso. Come le lampadine dei vari palazzi che, metaforicamente, egli aggiusta e rimpiazza una dopo l’altra, occupandosi degli impianti elettrici e della sicurezza negli stabili pur di sollevare Cité Gagarine dal degrado, ritardandone il più possibile l’evacuazione.

Le speranze per il futuro provengono dal passato, sembrano dirci il timido ma tenace Youri (l’esordiente Alseni Bathily) e l’energica Diana, la ragazza di etnia rom (Lyna Khoudri, già ammirata in Non conosci Papicha). Anche perché la rotta che porta alle stelle nasce, più che dal desiderio di libertà individuale, dal senso di appartenenza dell’intera umanità ad un unico, comune destino.

Regia: Fanny Liatard, Jérémy Trouilh

Interpreti: Lyna Khoudri, Alseni Bathily, Jamil McCraven, Finnegan Oldfield

Nazionalità: Francia, 2020

Durata: 97’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.