Eva ha quasi cinquant’anni, una vita familiare apparentemente stabile, un matrimonio solido, figli ormai grandi. Un incontro casuale a Roma con Álex, uno scrittore argentino, risveglia in lei un desiderio di libertà sopito da tempo. Decide così di lasciare la propria casa a Barcellona, intraprendendo un percorso incerto e fragile verso una nuova identità, lontana dalle consuetudini. Un viaggio interiore dove il coraggio non sta nel rompere con violenza, ma nel compiere un passo silenzioso e irreversibile verso sé stessa.
Cesc Gay ci ha abituati a un cinema della discrezione, dell’incompiuto, dell’emozione trattenuta. Cifra stilistica che trova conferma ne La mia amica Eva, commedia romantica incentrata su una protagonista femminile presa nel mezzo della vita, divisa tra la figura della madre devota e quella di una donna ormai “spenta”. Interpretata con sensibilità e delicatezza da Nora Navas, Eva rompe il proprio status senza urlare, senza ribellarsi in maniera eclatante, ma semplicemente spostandosi, scegliendo di abitare un altrove. La forza del film infatti non sta nel racconto della vicenda — volutamente esile, quasi rarefatto — quanto nello spazio che concede allo spettatore per riconoscersi. Come sempre il regista catalano lavora per sottrazione: le relazioni di Eva con i propri figli, con il marito, con gli amici non vengono infatti mai esaurite in spiegazioni, ma suggerite attraverso frammenti, dialoghi brevi, sguardi evocativi. Aspetti che lasciano emergere una verità, poiché la crisi di Eva non esplode mai, ma si accumula nel tempo, come una goccia che scava lentamente.
La magnifica performance di Nora Navas regala al film una gamma di sfumature che rendono la sua Eva profondamente autentica. È credibile nelle esitazioni, nelle scelte imperfette, nella fragilità che convive con il desiderio di autonomia. Non è un’eroina, ma una donna reale, imperfetta ma viva, che Gay accompagna senza giudicare, ma anzi condividendone gli smarrimenti. Accanto a lei, Rodrigo de la Serna e Juan Diego Botto interpretano personaggi che non si elevano mai dalla propria funzione, rimangono bidimensionali, ovvero semplici presenze che offrono possibilità, senza mai oscurare il percorso della protagonista. In tal modo Gay evita il rischio del melodramma, scegliendo di rinunciare a scene madri, a litigi distruttivi o dichiarazioni roboanti, per puntare tutto sui dettagli: un pranzo interrotto, una telefonata mancata, una confessione elusa. Un’asciuttezza che è una precisa scelta di regia, corrispondente a un’idea di cinema che intende mostrare la vita non nei suoi picchi, ma nei suoi interstizi, e il cui reale obiettivo è trasformare l’ordinario in materia narrativa.
Dal punto di vista stilistico, Gay alterna ambienti urbani a interni ricorrendo a una fotografia dai toni caldi, senza però mai risultare patinata. Roma e Barcellona sono così cornici vive che non diventano mai cartoline, e le location parlano attraverso la loro quotidianità, come se il regista catalano voglia ricordarci che i cambiamenti più profondi non hanno bisogno di scenari eccezionali per manifestarsi. A fare da contraltare però, ci sono diversi passaggi in cui il film indulge in una prevedibile dolcezza, come se temesse di spingersi troppo oltre la solitudine della protagonista. Alcuni segmenti narrativi risultano così compassati e rischiano di apparire compiacenti, ma complessivamente La mia amica Eva funziona, perché trova la propria originalità espressiva senza cercare lo scandalo o il colpo di scena, quanto piuttosto la verità che si cela negli spazi invisibili, nel non detto, nelle azioni contraddittorie. Inserendosi così in quel tipo di cinema che mette al centro del proprio discorso il kairòs, il tempo interiore, e che eleva il quotidiano a materia poetica.
Come già nel precedente Truman, Gay si conferma così regista della delicatezza, del gesto minimo capace di diventare sovversivo. Eva infatti non cambia il mondo e non aspira a farlo, ma cambiando di segno al proprio orizzonte e trasformando la propria traiettoria esistenziale, ci ricorda come la libertà non sia mai definitiva e che essa vada esercitata ogni giorno, anche con travaglio e sofferenza. Ma soprattutto che il coraggio di ascoltare la propria voce può diventare un’operazione rivoluzionaria in un mondo che tende a soffocare ogni desiderio sotto il peso delle convenzioni.
Regia: Cesc Gay
Con: Nora Navas, Rodrigo de la Serna, Juan Diego Botto
Spagna 2025
Durata: 102 min
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