All’indomani della morte improvvisa di una giovane moglie e madre, chi resta deve fare i conti con un dolore indecifrabile, affatto lineare, completamente insostenibile e caotico. Tra sogno, incubo e realtà, nella vita del padre e dei due figli piccoli fa la comparsa un gigantesco corvo: spaventoso e protettivo insieme, capace di accompagnare i dolenti famigliari a credere ancora nella speranza e nella vita.
Nulla appare più tragicamente caotico del dolore causato da una perdita. Specie quando si tratta dell’improvvisa morte di una giovane madre e moglie. Frasi come “il tempo guarisce” e concetti lineari come “le cinque fasi di elaborazione del lutto” suonano ridicoli e offensivi. Su tale disordine ontologico fonda il racconto contenuto nel romanzo d’esordio di Max Porter, Il dolore è una cosa con le piume (Guanda, 2019) adattato in film – pure d’esordio – dal britannico Dylan Southern con il titolo italiano L’ombra del corvo (in sala). L’aspetto straordinario di quest’opera misteriosa, tanto potentemente visionaria quanto teneramente intima, è la scelta del perfetto linguaggio cinematografico a restituire quanto le pagine di Porter hanno creato con la scrittura: l’orrore insito al lutto, letteralmente. La corposa e indefinibile gamma di emozioni post mortem di madre e congiunta richiama i fantasmi dell’anima, gli incubi della coscienza, la paura del ricordo. Il tutto, sintetizzato nell’incarnazione di un corvo gigantesco, creatura “regalmente” simbolica nel Regno Unito (territorio produttivo ma anche culturale ed emozionale del film) che, mentre spaventa e minaccia padre e figlioli, li protegge, li accompagna nel percorso luttuoso, andandosene solo “quando non servirò più”. Mostro analogico a contrasto dell’era digitale, il grande corvo è reale e immaginario insieme, sovrano del doppio livello narrativo del film, che grazie alla sua manifestazione sinistra colora di horror questa fiaba di fattura complessa, magicamente realistica e realisticamente magica sui fantasmi che abitano la nostra esistenza. Ed è bravo Southern a non (s)cadere nel sentimentalismo ricattatorio, sostanziando la sua regia iperbolica ma millimetrica su una solida sceneggiatura e su interpreti ineccepibili, a partire da Benedict Cumberbatch, perfetto corpo di un padre e marito sopraffatto da indicibile disperazione
Sceneggiatura e regia: Dylan Southern)
Cast: Benedict Cumberbatch, Richard Boxall, Henry Boxall
GB 2025
Durata: 104’
