Una giovane donna e una voce al telefono, in un sud Italia freddo e montagnoso. Una linea sottile separa i bisogni dai desideri e l’immaginazione dalla realtà. Luce è un gioco di ruoli, è quello che sembra, ma è anche il suo contrario.
Presentato in concorso al Festival di Locarno e successivamente ad “Alice nella città”, Luce è la seconda opera di finzione realizzata da Silvia Luzi e Luca Bellino, da molti anni attivi in ambito documentario. Un lavoro che arriva a distanza di ben sette anni dall’apprezzato esordio di “finzione” (Il cratere), e che, insieme ai tre documentari precedenti realizzati insieme (La minaccia, 2007, e Dell’arte della guerra, 2012, The prey, 2014), forma un corpus cinematografico di assoluta originalità nel panorama cinematografico italiano contemporaneo, definito da una matrice documentale e da una personale quanto raffinata perlustrazione del (labile) confine tra Documentario e Finzione, tra la Realtà e la sua Rappresentazione, tra il Vero e il Falso, tra Persona e Personaggio. Con il lungometraggio del 2017 Luce forma una sorta di dittico, sia per contiguità anagrafica e territoriale delle due protagoniste (entrambe alla soglia della maggiore età e abitanti della regione Campania), sia per i temi da cui sono attraversati i due lavori (l’ossessione dilaniante che investe i protagonisti, il rapporto tra padri e figlie), sia per lo stile che li informa, determinato da una riscrittura continua della sceneggiatura, dal primato della fase delle riprese e dall’ostinata osservanza della loro cronologia, dal reenacting come orizzonte espressivo.
In tal senso la vicenda di Luce assume una rilevanza secondaria, quasi marginale, rispetto alle modalità con cui viene messa in scena, laddove la ricerca della protagonista (ben restituita dalla rimarchevole interpretazione di Marianna Fontana, vero e proprio cuore pulsante dell’opera) è infatti lo strumento per esplorarne i desideri e i timori, restituirne le vibrazioni, coglierne le fratture. Un’esplorazione che lo sguardo di Luzi/Bellino affidano a una macchina da presa costantemente a ridosso della propria protagonista e al continuo ricorso a Long Take, che diventa lo strumento espressivo privilegiato, decisivo per registrarne la sismografia emotiva, e a una messinscena notturna. A dispetto del titolo, quella di Luzi/Bellino è infatti tutt’altro che un’opera luminosa, forse più programmatica e meno libera de Il cratere, ma certo non perché sia connotata da opacità; quanto perché predilige le zone d’ombra, sia per ciò che riguarda l’ambientazione della vicenda, sia per ciò che riguarda la cornice chiaroscurale che la contiene, perfettamente funzionale a evidenziare le contraddizioni che porta con sé. Un’opera che, mettendo al centro la ricerca del Padre, intende riflettere sulla sua assenza. Sul suo peso così come sulla sua necessità.
Regia: Silvia Luzi & Luca Bellino
Con Marianna Fontana, Tommaso Ragno
Italia 2024
Durata: 95’