Il testo della videorecensione a cura di Anna Maria Pasetti di SIRĀT, in concorso a Cannes 78
Secondo la cultura islamica, il Sirāt è il ponte escatologico che ogni anima è chiamata ad attraversare alla fine dei giorni. Ed è quello che separa i destinati al paradiso da quelli all’inferno. Adottando tale emblematico titolo per il suo quarto lungo di finzione, Oliver Laxe informa un’opera di profonda intensità e densità che comincia come un road movie e termina come un’apocalisse mistica. Girato e ambientato nella maestosità delle montagne dell’Atlante marocchino, già location di Mimosas, Sirāt mette inizialmente al centro un padre che, accompagnato dal figlio minore, è in cerca della figlia scomparsa dopo un rave in quelle terre. Ed è difatti presso un nuovo rave party che Luis si mette sulle tracce della giovane, incalzando i partecipanti con foto della figlia. Quando il consesso dei ravers è sciolto dai militari, Luis si accoda a un piccolo gruppo con cui s’imbarca in un’avventura tanto pericolosa quanto rivelatrice.
Viaggio iniziatico e simbolico nel deserto sul senso del limite, sulla perdita di ogni certezza e dunque sull’inevitabile presenza della morte nella vita, ma anche sullo svuotamento del sogno a vantaggio di una trance psichedelica che percorre i confini tra la consapevolezza e l’inconscio, il testo del giovane cineasta franco-spagnolo mette in scena una ricchezza di idee di cinema mai derivative, offrendosi come fusione di strutture e generi dentro a un linguaggio coerente, intessuto da vibrazioni techno-industrial che si trasformano nel battito cardio-spirituale dei personaggi, nella loro danza sufi. Essi sono individui – tutti attori esordienti tranne Sergi Lopez nei panni di Luis – raminghi, pseudo-freaks, devoti alla lisergica ricerca del Sé come metodo di conoscenza. Sirāt è insomma un lavoro estatico ed estetico, epico e profondo, imprevedibile e scioccante, foriero di multiple letture e che costringe lo sguardo spettatoriale a cambiare atteggiamento di visione e di ascolto. Proprio come insegnava il mistico arabo medievale Ibn ‘Arabi, «il vero viaggio non è cercare nuovi paesaggi, ma nuovi occhi».
La videorecensione di SIRĀT
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