“Viviamo in una casa imbottita di dinamite, con tutte le bombe pronte a esplodere”. Kathryn Bigelow utilizza la voce di un immaginario presidente americano per enunciare quella verità nota a chiunque ma istantaneamente rimossa quando non ricordata. E dunque ben venga il ritorno dietro alla macchina da presa, a 7 anni dall’ultimo film, della regista premio Oscar per The Hurt Locke che col suo cinema teso, incalzante e importante, riesce a incollare il pubblico in assoluta tensione facendolo contestualmente riflettere. A House of Dynamite è il grande film che da lei s’attendeva: un thriller politico che annuncia quanto miracolosamente non è ancora accaduto, ovvero un attacco missilistico da ignoti verso gli States che l’arsenale più fornito del mondo non riesce a contrastare (“perché – come giustamente dice uno dei personaggi nelle sale della Casa Bianca – è come colpire un proiettile con un proiettile”). Oltre a esporre il Paese di fronte all’inevitabile, l’attacco in corso costringe l’uomo più potente del pianeta di fronte al dilemma più complesso che equivale all’eventuale contrattacco fatale. Denso di temi di stringente attualità nella sceneggiatura scritta dall’ex presidente di NBC News Noah Oppenheim, il dodicesimo film di Bigelow espande con determinazione le riflessioni a lei care in una narrazione dal ritmo mozzafiato. E i diciotto minuti raccontati da tre punti di vista diversi dai funzionari governativi e militari con un unico finale, divengono il frammento di tempo che racchiude ogni emozione umana.
A HOUSE OF DYNAMITE (Kathryn Bigelow) Il pericolo arriva dall’ignoto
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