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DRACULA – L’AMORE PERDUTO (Luc Besson)
Magniloquente melodramma gotico

Il giovane conte Vlad e la sua sposa Elisabetta vivono felici e innamorati nel loro castello in Transilvania. Quando la guerra chiama Vlad alle armi, Elisabetta lo attende paziente, finché una lancia nemica la colpirà fatalmente mentre tentava di proteggere il marito. Costui, vedovo senza pace, rinnega Dio e viene così trasformato in un vampiro, creatura demoniaca destinata a vagare per l’eternità nutrendosi di sangue. Centinaia di anni dopo, il caso vorrà che Vlad si imbatta in una giovane identica alla sua Elisabetta: credendola la reincarnazione della sposta, farà di tutto per farla propria.

Liberissima, fantasmagorica, massimalista e visionaria versione del celebre romanzo gotico di Bram Stoker del 1897, il Dracula secondo Luc Besson sottolinea l’aspetto romantico e melodrammatico del classico a discapito di quello orrorifico, presentandosi come un melodramma in fiaba proprio a partire dal sottotitolo, L’amore perduto, o ancor meglio in originale “A Love Tale”. Interpretato nei panni del noto Conte dal talento versatile e trasformista di Caleb Laundry Jones – che Besson riconvoca a suo protagonista dopo Dogman – ma anche dall’ironia di Christoph Waltz, dall’emergente Zoë Bleu e dalla nostra Matilda De Angelis nei panni di una giovane ed esuberante vampira, Dracula – L’amore perduto condensa in oltre due ore tutto ciò che ci si aspetta dalla visionarietà magniloquente di Besson. È dunque un “prendere o lasciare” per fan o detrattori del megalomane transalpino, perennemente sedotto dal fantasy mescolato al romanzesco e al melò. Volendone evidenziare quanto di positivo esprime, non può passare inosservata la grandeur scenografica (firmata Hugoes Tissandier) e coreografica del film. Già, letteralmente coreografica in quanto il racconto della vita del Conte della Transilvania contiene anche delle danze, bellissime. Dentro ai costumi straordinari di Corinne Bruand, i personaggi volteggiano indisturbati, ed è indubbiamente un piacere per gli occhi, specie se il film è visto su un grandissimo schermo, come dovrebbe. Tralasciando inutili filologie o aderenze letterarie, sono volutamente visibili le citazioni dai precedenti adattamenti, in primis dall’indimenticabile pellicola di Coppola del 1992 di cui è probabilmente un omaggio. Ma l’originalità di Besson sta sia nell’insistenza sul romanticismo, sia nell’ironia che pervade tutto il film ed infine, senza rivelarlo, in un finale che non t’aspetti. In relazione ai sentimenti e alla malinconia della loro perdita, i gesti d’amore restano il nucleo narrativo, al punto da occupare parecchio tempo dell’inizio con tanto di messa in scena dell’intimità – assai giocosa – fra Vlad e la sua Mina. I tormenti della morte della moglie assurgono a scene apocalittiche, molto “bessoniane”, ma con l’arrivo di Waltz, il prete-scienziato esorcista, e della frizzante Matilda De Angelis, i toni si alleggeriscono dell’ironia di cui sopra, portando l’intero melodrammone sempre in bilico tra la tragedia e e il divertissement. In definitiva, senza andare a cercare introvabili autorialità e solennità, questo romantico e fracassone Dracula – L’amore perduto può far trascorrere agli spettatori un paio d’ore immersi nella fantasia onirica dei sentimenti e dei suoi misteri.

Regia: Luc Besson

Cast: Caleb Laundry Jones, Zoë Bleu, Christoph Waltz, Matilda De Angelis

Francia, UK 2025

Durata: 129′

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Sull'autore

Anna Maria Pasetti

Anna Maria Pasetti Milanese, saggista, film programmer e critica cinematografica, collabora con Il Fatto Quotidiano e altre testate. Laureata in lingue con tesi in Semiotica del cinema all’Università Cattolica ha conseguito un MA in Film Studies al Birkbeck College (University of London). Dal 2013 al 2015 ha selezionato per la Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Si occupa in particolare di “sguardi al femminile” e di cinema & cultura britannici per cui ha fondato l'associazione culturale Red Shoes. . Ha vinto il Premio Claudio G. Fava come Miglior Critico Cinematografico su quotidiani del 2020 nell’ambito del Festival Adelio Ferrero Cinema e Critica di Alessandria.

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