La famiglia della piccola I-Jing torna a Taipei dopo diversi anni. Mentre la madre Shu-fen, single, fronteggia i debiti che pesano sulla sua quotidianità gestendo un chiosco in un vivace mercato notturno e la sorella maggiore, l’irrequieta ventenne I-Ann, contribuisce agli introiti con un lavoretto part-time, la bambina, di soli cinque anni, esplora con meraviglia la nuova vita cittadina, vagando da sola per le strade, tra le bancarelle e le luci della metropoli. Ma perché disegna con la mano sinistra? Il nonno non vuole, dice che quella è la mano del diavolo…
Vincitore del concorso Progressive alla Festa del cinema di Roma, il secondo lungometraggio di Shih-Ching Tsou, a ventun anni di distanza dal’esordio con Take Out (co-diretto nel 2004 insieme a Sean Baker, con il quale l’autrice taiwanese ha collaborato successivamente per Starlet, Tangerine, Un sogno chiamato Florida e Red Rocket), riverbera non pochi temi, atmosfere e codici espressivi del cinema del regista di Anora, qui nelle vesti di co-sceneggiatore, montatore e produttore: storia intima e urbana, sospesa fra tradizione retrograda (i pregiudizi atavici su chi è mancino) e modernità disturbante (la tratta migratoria clandestina tra Cina e Usa), La mia famiglia a Taipei evidenzia fin dalle prime sequenze la sua impronta sociale e la sua dimensione intergenerazionale, con un approccio realistico da cinéma-vérité contrassegnato dall’uso reiterato della camera a mano, dal pedinamento costante dei personaggi attraverso meticolosi long take, dalla messa in relazione stridente della loro interiorità con l’ambiente esterno.
Progetto meditato per lungo tempo e ispirato a ricordi personali, il film mette in scena asprezze relazionali addolcite da un registro sottilmente ironico, osservando le interazioni adulte dalla prospettiva della piccola, vivacissima protagonista. La famiglia di I-Jing, disfunzionale, è il ‘laboratorio umano’ esplorato dalla macchina da presa di Shih-Ching Tsou in una ricognizione filmica che, talvolta in modo apertamente programmatico, alterna senza pause slanci emotivi e raggomitolamenti caratteriali, fughe esistenziali e ricadute psicologiche. Sotto la crosta di un ordinario complesso e problematico (la depressione della madre, incapace di separare le proprie sorti da quelle di un marito violento ormai malato terminale; la rabbia non sfogata della figlia maggiore, disinibita e ribelle) serpeggia uno straordinario ancora più inquieto, che un finale rivelatore amplifica ulteriormente, ponendo à rebours una nuova luce su quanto visto lungo tutto l’arco del film. Ognuno dei tre personaggi femminili, quasi un’unica, sfaccettata identità scissa in tre età diverse, è alla ricerca di un equilibrio, sfuggente e cangiante. E se a tentare di decifrarlo è magmaticamente l’universo brulicante del mercato notturno di Taipei, a cercare di dargli forma e spessore sono i silenzi, le malinconie, i dolori inespressi che imprigionano il presente. Anche se, nel progredire delle vicende, l’addensarsi di situazioni, sguardi, confessioni produce una certa ‘saturazione’ nel raccordo empatico con lo spettatore.
Regia: Shih-Ching Tsou
Interpreti: Shi-Yuan Ma, Janel TSAI, Nina Ye, Brando Huang, Akio Chen
Nazionalità: Taiwan, Francia, Usa, GB, 2025
Durata: 108′
