Capire Cannes è una rubrica in 6 puntate per raccontare il Festival di Cannes, un appuntamento al giorno direttamente dalla Croisette.
Ci sono due modi possibili di vivere il Festival di Cannes se si possiede un accredito “basso”, ovvero senza priorità di accesso. È infatti molto difficile prendere al primo colpo i biglietti per le proiezioni principali del concorso. Chi non riesce a vederli nel giorno uno, può aspettare 24 ore e recarsi al Cineum, a 20 minuti di autobus dal cuore del Festival. Mi reco lì, il secondo giorno, in questo esilio (in)volontario per recuperare qualche titolo perduto. La struttura che mi accoglie è quella dei multiplex. Ogni sala ha un effetto speciale: IMAX, Dolby Atmos, Screen X, ma non è questo che mi stupisce.
Intorno a me il pubblico è prevalentemente giovanissimo. È un’illusione, una delle tante “bolle da Festival” che fanno percepire quello che succede come se fosse il centro del mondo. Evidentemente non è così, il cinema d’autore non ha la stessa attrattiva per i giovani di quello che può avere all’interno di una cornice così prestigiosa. Il colpo d’occhio è però bellissimo e incoraggiante. Interrogo a riguardo il mio vicino di posto: è un italiano all’estero, sta frequentando un’università francese di indirizzo economico. Con mio stupore mi spiega che ha ottenuto l’accredito tramite la sua università, pur non frequentando corsi particolarmente affini al cinema.
Questa apertura agli studenti non è certo una prerogativa di Cannes, è presente anche alla Mostra del Cinema di Venezia e tutti i festival più importanti stimolano la partecipazione degli studenti (primo su tutti il bellissimo Far East di Udine). L’impressione però è che in Italia si tenda a legare gli studi umanistici alla cinefilia. La comunicazione di questi eventi è indirizzata spesso quasi esclusivamente a chi intraprende un percorso formativo è già virato verso l’audiovisivo, escludendo gli altri. Per creare cinefili… si coinvolge i cinefili. Cannes inverte la scala di priorità e pensa anche agli altri. Comunicativamente è una sensazione che prende chi vive il Festival. L’interesse è di aprire le sale a un pubblico nuovo. Certo, non quelle principali e glamour, riservate ancora agli abiti da sera e alle sfilate sul red carpet, ma c’è il tentativo di rendere la kermesse una questione che riguarda tutta la città, inondata di manifesti e vestita a festa nella speranza di essere inquadrata o di incrociare qualche divo..
Si potrebbe “rubare” questa idea: un cinema integrato e non settorializzato. Un pensiero della sala come spazio di evento, in cui si desidera andare perché tutta la vita cittadina spinge in quella direzione. Spesso invece negli equilibri della vita delle Sale della Comunità ci sentiamo marginali rispetto alla vita culturale del paese. Ci sentiamo in dovere di attirare noi i giovani come dei magneti. Invece il cambio di paradigma potrebbe proprio essere questo: non limitarsi a tirare verso di noi, ma provare anche a trovare enti, modi e mode, che spingano dall’esterno, come un cerchio che si chiude, verso il cinema. Significa creare eventi complessi che non si limitino a un solo spazio, ma che abbraccino più realtà. Non si attirano i giovani spiegandogli perché devono esserci, ma facendo in modo che non si possa… non esserci.
LEGGI ANCHE: CAPIRE CANNES: il pubblico più entusiasta al mondo
Potete seguire ACEC anche su Facebook e Instagram