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CENTO DOMENICHE (Antonio Albanese)
Il sogno infranto di un padre

Antonio, ex operaio specializzato di un cantiere nautico a Lecco, prepensionato, conduce una vita serena e pacifica: gioca a bocce con gli amici, va ancora in fabbrica ad insegnare, come volontario, il mestiere ai più giovani, si prende cura della madre anziana, affetta da demenza senile, ha una ex moglie con cui è in ottimi rapporti, è legatissimo alla loro unica figlia, Emilia. Quando la ragazza, un giorno, gli annuncia che ha deciso di sposarsi, Antonio, potendo contare sui risparmi di una vita, può coronare il suo sogno di provvedere al ricevimento sostenendo i costi della cerimonia. La banca di cui è da sempre cliente, però, sembra nascondere qualcosa: i dipendenti all’improvviso appaiono sfuggenti e la figura del direttore cambia inspiegabilmente di continuo…

Al quinto film dietro la macchina da presa, Antonio Albanese, con Cento domeniche (di cui è anche autore di soggetto e sceneggiatura insieme a Piero Guerrera), sembra rievocare la lezione civile e sociale di Vesna va veloce (1996) e Giorni e nuvole (2007). Come nei film di Carlo Mazzacurati e Silvio Soldini, infatti, più che attingere dalla propria filmografia di regista, ben più improntata alla commedia, Albanese rivela nel suo nuovo lavoro uno slancio etico e valoriale all’interno di una dimensione narrativa drammatica che lo allontana dalle esuberanze delle sue satire ciniche e beffarde, ponendolo in continuità di intenti con il precedente lungometraggio diretto e interpretato, Contromano (2018), per quanto meno incisivo di Cento domeniche.

Se in quel film i toni scelti per descrivere il rapporto con lo straniero e sconfessare i pregiudizi razziali erano ispirati a dolenti malinconie e isolamenti esistenziali, qui, rarefacendo battute e sorrisi, Albanese smorza ulteriormente la consueta vis comica, azzerandola quasi del tutto. Raccontando di una quotidianità anonima e delle sfumature di grigio che, avvolgendola, mutano, di fotogramma in fotogramma, in nero, il regista/attore lombardo va dritto al punto, senza ricorrere a paradossi e metafore. La credibilità del contesto relazionale e ambientale è la forza di Cento domeniche: la ‘geografia umana’, periferica ma operosa, che popola la sana provincia italiana nella quale Antonio è cresciuto viene portata sullo schermo con aderenza caratteriale e sensibilità di sguardo, priva di forzature estetiche. La scoperta, raggelante, che chi custodisce i nostri tesori (monetari) non sempre custodisce anche i nostri sogni (affettivi) è restituita con una progressione emotiva adeguata. E l’accumulo di pensieri e sensazioni laceranti, nella mente del malcapitato protagonista, è reso palpabile dalla recitazione sottotraccia di uno spaesato Albanese, che nel mutismo delle parole e nell’eloquenza dei propri sguardi evoca autentici spettri interiori.

Smarrimento, incredulità, desolazione, angoscia, rabbia, l’onda d’urto della vergogna, lo scardinamento di un’esistenza uguale a tante altre, fatta di piccole cose, di consuetudini generazionali, di fiducie automatiche, la difesa degli interessi altrui e non dei propri, l’avidità di un sistema finanziario guidato da logiche spietate: materia ribollente che Cento domeniche maneggia con cura, portavoce di uno sdegno privato che si fa autentico messaggio pubblico (e politico) in un finale teso e per nulla consolatorio.

Regia: Antonio Albanese

Interpreti: Antonio Albanese, Liliana Bottone, Bebo Storti, Sandra Ceccarelli, Maurizio Donadoni

Nazionalità: Italia, 2023

Durata 94′

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.