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CATTIVERIE A DOMICILIO (Thea Sharrock)
C’è posta per te

  1. Una cittadina affacciata sulla costa meridionale dell’Inghilterra, Littlehampton, è teatro di un misterioso e imbarazzante scandalo: una serie di lettere anonime e oscene recapitate prima a casa di Edith, zitella bigotta e repressa di una famiglia ultraconservatrice, poi anche ad altre concittadine. I sospetti cadono subito sulla vicina di casa di Edith, Rose, immigrata irlandese ribelle, sboccata e anticonformista, vedova e madre di una bambina, identificata come autrice delle scabrose e insultanti missive e arrestata in attesa del processo che la vedrà imputata. Sul caso, però, indaga segretamente una giovane agente di polizia, Gladys, che non crede alla ‘comoda’ e frettolosa interpretazione dei fatti…

Basato sulla bizzarra ma vera storia di due vicine di casa, dapprima buone amiche, poi in guerra tra loro a causa di una serie di sconce, anonime lettere che mandarono in subbuglio l’intera nazione all’inizio degli anni ’20, Cattiverie a domicilio, più che un film sull’emancipazione femminile, è il ritratto al vetriolo di una società misogina e sessista. Commedia grottesca intinta di venature thriller, sostenuta da uno sfrontato piglio ‘politicamente scorretto’, intrisa di realismo sociale e immersa, verso il finale, nel registro narrativo del courtroom drama, il terzo lungometraggio di Thea Sharrock è un’operazione tutt’altro che superficiale, articolata, al contrario, in una pluralità di temi e sottotesti. A cominciare dalla contrapposizione fra un puritanesimo imposto per tradizione familiare, non vissuto come autentica tensione spirituale, e una spinta libertaria irriverente e strafottente, sintomo, in realtà, della mancanza di un saldo equilibrio interiore e di una confortante stabilità affettiva.

Le linee di demarcazione che separano Edith da Rose, in effetti, seguono solo in apparenza direzioni opposte. L’ammirazione nascosta della prima per l’esuberante vitalità della seconda si interseca, in Cattiverie a domicilio, con la comprensione sincera, da parte della giovane irlandese, della sottomissione a cui è sottoposta la nubile inglese, prigioniera di patriarcali ‘gabbie morali’. Il retrogrado conformismo di Edith, dunque, trova punti di contatto esatti e contrari nell’(auto)isolamento relazionale di Rose. E lo stesso, insistito turpiloquio di Rose trova simmetrie lampanti, ben oltre i sospetti giudiziari, con le reiterate volgarità contenute nelle lettere ricevute da Edith: due ‘modalità comunicative’ rispondenti entrambe al rifiuto di una condizione esistenziale, prima ancora che di una dimensione sociale o di un’appartenenza religiosa.

La brillante raffinatezza della sceneggiatura firmata da Johnny Sweet costituisce la robusta ossatura del film della Sharrock, prolifica regista teatrale, la cui familiarità nella direzione attoriale appare evidente nelle eccellenti performance di Olivia Colman e Jessie Buckley, al secondo lavoro insieme dopo La figlia oscura, l’esordio dietro la macchina da presa di Maggie Gyllenhaal. Tutto il cast, in realtà, risulta efficace, dal dispotico e manipolatore padre/padrone interpretato da Timothy Spall alla tenace poliziotta impersonata da Anjana Vasan. E se pure la parte conclusiva di Cattiverie a domicilio appare un po’ sbrigativa, lo humour, rigorosamente british, riporta sempre in alto, ad ogni rallentamento di tono, il livello del film.

Regia: Thea Sharrock

Interpreti: Olivia Colman, Jessie Buckley, Anjana Vasan, Timothy Spall, Malachi Kirby

Nazionalità: GB, 2023

Durata: 100’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.

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