L’imbarazzo nel ritrovarsi insieme dopo tanto tempo, le reticenze e i pregiudizi che pesano all’interno dei rapporti interpersonali, ma anche una rinnovata sintonia, nei legami di sangue, dopo un lutto improvviso e la perdita dei propri punti di riferimento. Tutto questo nel segno minimalista, antispettacolare e sottilmente ironico, del cinema di Jim Jarmusch, che nel suo quattordicesimo lungometraggio, fin dal titolo, chiarisce nitidamente l’orizzonte del proprio sguardo. Father Mother Sister Brother è infatti un’opera incentrata sulle relazioni familiari, tra figli adulti e i rispettivi genitori, dinamiche parentali osservate con la consueta, umana curiosità, da parte del regista americano, e registrate, sospendendo ogni giudizio, con altrettanta pacatezza filmica. Suddiviso in tre episodi ambientati in tre Paesi diversi (la campagna del New Jersey, la periferia di Dublino e il centro di Parigi), scandito da dialoghi come sempre rarefatti ed elusivi, ma pungenti, e nutrito di alcuni buffi rimandi che viaggiano da un segmento all’altro, Father Mother Sister Brother evoca, in forma riflessive, le ritrosie caratteriali e le fratture mai sanate, lo scorrere del tempo e le distanze affettive, in un clima generale di atmosfere sospese, parole accennate, gesti misurati, silenzi eloquenti. Se il primo episodio, con il suo retrogusto sarcastico, è il più incisivo del trittico, l’ultimo, diradando lo humour, si appoggia invece ad una quieta malinconia, ma l’esito complessivo, non tradendo affatto la poetica intimistica di Jarmusch, aiutato dal lavoro in sottrazione di un cast prestigioso, da Adam Driver a Cate Blanchett, da Charlotte Rampling a Vicky Krieps, restituisce allo spettatore, sui titoli di coda, sensazioni abituali, tiepide e tenere.
FATHER MOTHER SISTER BROTHER (Jim Jarmusch) Le relazioni familiari
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