Esordio nel lungometraggio per la regista bosniaca Una Gunjak che sceglie di prendere spunto da un fatto di cronaca di alcuni anni fa per interpretare la bruciante attualità del proprio paese. Un’opera che guarda all’adolescenza con affetto e coraggio senza mascherare sfumature e contraddizioni.
Lo sguardo interpellato
Il film ci chiede: nell’epoca delle fake news, c’è ancora qualcuno interessato alla verità su cosa accadde realmente? Come gestiscono la propria sessualità ancora acerba le giovani adolescenti bosniache? Cosa davvero guida le loro azioni e i loro desideri nella società di oggi? Dove sono gli adulti e cosa fanno per costruire relazioni di senso con loro, specialmente in una società in cui prevale l’individualismo e la competizione, il consumismo e la rassegnazione?

Il paesaggio dell’anima di La gita scolastica
C’è chi sostiene che l’adolescenza sia l’età ingrata, soprattutto oggi esposta a paradigmi sfuggenti, ad una costante alienazione dalla realtà, ad un continuo esibire che rivela incertezze e fragilità e guardando il film di Una Gunjak è difficile smentire la portata di questo assunto. Posto che lo sia, occorre rimanere vigili e domandarsi cosa e chi la renda tale, età così più complessa da tradurre e così più imparagonabile rispetto ad altri tempi. Iman, la protagonista del film di Una Gunjak, interpretata dalla giovane attrice non-professionista Asja Zara Lagumdžija, è il personaggio della finzione che raccoglie le istanze reali da un gruppo di sette tredicenni che alcuni fa scandalizzò la Bosnia Erzegovina, tra reazioni di indignazione e incredulità. Le sette ragazze della stessa classe rimasero incinte durante una gita scolastica: giudicate, accusate e umiliate su media nazionali e piattaforme digitali, divennero presto capro espiatorio di una società incapace di maturare una seria riflessione culturale sulla sessualità precoce e l’inconsapevolezza nei giovani adolescenti. Diffusa a livello internazionale, la notizia alimentata dalla grancassa dei predicatori moralisti locali, trasformò la vicenda in una isteria di massa rivelando l’inconsistenza di una società adulta poco disposta a mettere in discussione sé stessa e a cercare di capire la verità.
La regista bosniaca adotta il punto di vista di Iman e attraverso il suo sguardo intercetta tutta la sua umanità in fase di transizione senza giudicarla, ma rispettandone profondità e spessore. Se da una parte contrasta il grigiore e lo smog di Sarajevo in tutta sua gloriosa monocromia con barlumi di luce e colore, talvolta sgargianti e acidi mentre restituisce al paesaggio una sonorità densa, sporca, cupa, tipica del mondo urbano cementificato abitato dai personaggi, dall’altra sceglie di non vittimizzare la sua protagonista offrendole una vivacità inconsueta e misteriosa. Iman si rivela in tutta la completezza di persona che, come tutti gli esseri umani, desidera amare e essere amata nonostante i propri difetti. Ha le sue fragilità e affonda nella propria solitudine convinta che se verrà vista, desiderata, si percepirà realizzata e accettata. E quel finale così luminoso le restituisce una dignità calpestata da coetanei e adulti incapaci di andare aldilà della propria visione dei fatti.
I legami di La gita scolastica
Il film può conquistare chi si interroga su femminismo e scrittura dell’identità come dimensioni di ricerca esistenziale in contrasto con patriarcato e consumismo, ma anche chi si lascia interpellare dal gap generazionale che separa adulti e giovani adolescenti, non solo nella Bosnia di oggi. Assente più di ogni altra cosa non è solo la comunicazione tra chi fugge (adulti) e chi si nasconde (adolescenti) ma la volontà di costruire relazioni di senso dove al cuore si possa trovare sempre un discorso, una sorta di finestra sul mondo, volta a salvare.
Almeno due le convergenze: il testo Come tutte le ragazze libere di Tanja Sljivar, ispirato al fatto di cronaca del 2014, da cui è stato tratto lo spettacolo teatrale diretto da Paola Rota e il bel film 17 ragazze, diretto da Delphine e Muriel Coulin, ispirato a fatti analoghi accaduti nel 2008 in un liceo di Gloucester, nel Massachusetts quando diciassette teenagers di quindici e sedici anni esibirono contemporaneamente e con orgoglio la loro gravidanza, senza rivelare chi fossero i padri.
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