Dallo sfaldamento dell’unità familiare alla dipendenza affettiva, dal tradimento della fiducia alla ricerca della propria identità di genere, dal disorientamento valoriale alla violenza del bullismo nelle sue forme più subdole e ferali. Sono molteplici, faccettate e complesse, le questioni esistenziali trattate con estrema onestà e spontaneità nel film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri, presentato alla Festa del cinema di Roma in collaborazione con Alice nella Città.
La trama è ispirata al libro “Andrea oltre il pantalone rosa”, scritto nel 2013 da Teresa Manes e dedicato al figlio Andrea Spezzacatena, che si tolse la vita un anno prima, a soli 15 anni, vessato dal cyberbullismo. È passato oltre un decennio, ma le cronache ci riportano ancora, tristemente, casi analoghi, e allora va bene raccontare nuovamente questa vicenda, ma romanzata, con l’avvallo della stessa Manes, per indagare non tanto, e non solo, la dinamica del bullismo in sé, ma il contesto affettivo, relazionale, psicosociale nel quale l’Andrea cinematografico si è trovato prima della pubblicazione della famigerata pagina facebook “Il ragazzo dai pantaloni rosa”.
Per chi è raccomandato Il ragazzo dai pantaloni rosa?
Per questo è un film adatto ad una trattazione scolastica dalla terza media alla seconda superiore, arco narrativo percorso dal protagonista, magari da inserire in progetti sull’educazione all’affettività, ma allargabile sia alla formazione
dei docenti e dei genitori, sia ad una programmazione ordinaria di cineforum rivolto alla società. Perché attraverso la storia di Andrea si passano in rassegna tutte le fragilità di un’anima in crescita nel contemporaneo: mamma e papà si separano, l’amico da cui lui è attratto lo tradisce e inganna con malignità, l’amica del cuore rifiuta le sue avances, comprendendone, forse, il disperato tentativo di omologazione alle aspettative, la profonda solitudine che ne consegue in un gruppo di pari insensibile alle sue silenziose battaglie.
È come sei il film ci dicesse che è sì importante contrastare il bullismo, ma laddove questo si insinuasse in anfratti fuori controllo (nei corridoi, negli spogliatoi, alle feste, nei non luoghi virtuali, dove i docenti, e gli adulti in generale, sono “fuori campo”), è fondamentale creare le condizioni perché la vittima possa difendersi, e quindi educare al rispetto della diversità, all’empatia per i dolori confidati, al valore dell’amicizia e della solidarietà.
“Le parole sono come pietre, e chi è veloce, le schiva, ma chi è lento…” dice sul finale la voce fuori campo di Andrea narratore dall’aldilà: è dovere di tutti noi, quindi, costruire un sistema di protezione per chi è lento, quel cuscino di autostima, sostegno sociale, riconoscimento dell’altro come fondamento imprescindibile della comunità umana, che faccia rimbalzare le pietre, o perlomeno attutisca il loro colpo, permettendo a tutti di salvarsi.