Vedere in avvento Sull’isola di Bergman significa passare, per forza di cose, il Natale con Ingmar. Pur avendo il film di Mia Hansen-Løve, la regista francese prodigio del meraviglioso Le cose che verranno – L’avenir, un’innegabile indipendenza narrativa e stilistica, finiremo comunque per l’ennesima volta nella spirale bergmaniana. È una buona sorte! È la confidenza con il maestro svedese che si rinnova sulle note malinconiche della doppia storia che ci affida Hansen- Løve. Magari fosse anche per qualche giovane, o anche meno giovane, l’occasione per una “prima volta” con opere come Come in uno specchio (1961) e Persona (1966), girate proprio a Fårö. Questi due film mi sono sobbalzati al cuore in un passaggio assai preciso di Sull’isola di Bergman, tanto da proiettarmi nella re-visione di entrambi con un sentimento nuovo, la possibilità di tornare da dove si è venuti.
La coppia protagonista del film si trova sull’isola per scrivere la sceneggiatura dei loro nuovi rispettivi film. Chris e Tony sono entrambi registi e appassionati del cineasta del titolo che nel 2007 concluse la sua vita proprio in quella natura bella ma non idilliaca, un po’ come quella umana tanto indagata nelle sue opere. I due scelgono di scrivere in location diverse comunque nel complesso dove visse Bergman, ma abbastanza vicine da scrutarsi come sentinelle l’uno dell’altro. Tony procede a passo spedito, pagina dopo pagina la sua opera prende forma e gli rimane anche il tempo di visitare l’isola e di tenere incontri con il pubblico locale. Chris fatica a scrivere: è ferita dal luogo che la ospita tanto da sentirsi immobilizzata interiormente e spiritualmente. Nella notte dormono assieme nel letto di Scene da un matrimonio (1974) e questo basterebbe tanto ad incendiare quanto a spegnere ogni ispirazione letteraria.
Un giorno, in assenza di Tony, Chris si permette di fare una cosa che la accomuna ad altre donne di Bergman, alla Karin di Come in uno specchio e ad Alma di Persona. Tutte leggono qualcosa che non appartiene loro; tutte ascoltano quella voce che le trascina nell’intimo di altri; tutte sono risucchiate dal segreto che tutto consente della scrittura. Chris legge senza permesso gli appunti di lavoro del marito. Karin legge il diario del padre che scrive dell’irreparabilità della malattia psichica di cui lei è affetta. L’infermiera Alma legge la lettera che Elisabeth, a lei affidata, scrive alla dottoressa che l’ha in cura e che l’ha mandata sull’isola a rigenerarsi e a recuperare la parola.
Siamo di fronte ad un espediente narrativo usato fino alla noia e altrettanto presente nella vita odierna (leggere nascostamente nello smartphone altrui è diventato uno sport nazionale di famiglia). Eppure, e qui sta tutto il valore di questo viaggio di contaminazioni, Hansen-Løve recupera in pochi istanti i passaggi magistrali di queste due opere capaci di mettere in scena la potenza deflagrante sulla persona di conoscere la verità attraverso il segreto violato della scrittura altrui. Quasi un peccato mortale che mette l’identità psichica della persona in uno stress fortissimo, una tentazione alla quale ci troviamo tutti prima o poi di fronte e che il cinema sa narrare nella sua dilaniante essenza. Il cinema del presente e del passato si confondono qui in un’architettura retta da tre donne che infrangono la parete della pagina altrui trovandovi la spinta per l’abisso: dalle insidie della profondità di chi ha letto ciò che non doveva emergono tre donne indimenticabili.