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IN MINERVINI WE TRUST – I DANNATI
Un invito a scoprire (e programmare) I Dannati di Roberto Minervini

Dannati minervini dopo i titoli di coda recensione

Arianna Prevedello analizza I Dannati, di Roberto Minervini. Dopo i titoli di coda è una rubrica che immagina le discussioni dopo le proiezioni nelle Sale della Comunità. Un aiuto per esercenti e animatori di sala. 

Roberto Minervini (Fermo, 1970) rimane esperienza di purissima contemplazione. Da ciò, inevitabilmente, attingere al suo sguardo si rivela ancora una volta un dono. Nella sua poetica, prima col documentario e ora con un film sostenuto da una “non scrittura convenzionale” – definizione del regista –, si ritrova l’esperienza dell’indugiare, del mettersi in ascolto e del desiderare una postura di ricerca e, non ultimo, della libertà di abbattere ogni disgraziato pre-giudizio. Liberarsene, almeno temporaneamente, significa dare credito all’umano di ciascuno, entrare in risonanza con reti sociali e domestiche anche estreme.

Per tutto questo il cinema di questo artista “americano d’adozione” è l’incontro insoluto con altro da sé, con prospettive diametralmente opposte eppure integrate nello stesso ambiente, con ragioni talvolta perfino respingenti. Praticamente solo intravisto dagli operatori culturali e totalmente svisto dal pubblico, sebbene si possa rimediare assolutamente nelle SdC, I Dannati con il registro della finzione prosegue sicuro nel solco di Stop the Pounding Heart (2014) e degli altri documentari del regista marchigiano.

È il caso – mettiamolo nero su bianco, perché a voce ce lo diciamo sempre – di non lasciarsi sequestrare emotivamente da quello sparuto gruppo di spettatori, e ogni animatore culturale può vantarne uno nella propria sala, che puntualmente si erge ad arbitro dell’opera con bollini sempre di moda come “una noia mortale” o “non succede nulla”. È il rischio che corrono film così pazienti, e al contempo arditi, dove il nemico non assume un volto, dove la battaglia è soprattutto di senso e non tanto e solo di armi e salvezza. Invece recuperare I Dannati, miglior regia nella sezione Un Certain Regard di Cannes 77 – a proposito, i premi dei festival sono ancora un profumo che affascina? –, è proprio doveroso perché Minervini, come in ogni sua opera, ci apre le porte di casa sua, di quell’America che ha scelto di continuare ad abitare.

Dannati Minervini

Programmare I Dannati

Quel «pezzo d’America – come annota lo scrittore Andrea Bajani su Il Venerdì del 17 maggio 2024 – che i liberal considerano il male, i conservatori il bene assoluto, e che Minervini sa guardare per quello che è, con sguardo di ferma, micidiale, empatia». Programmare I Dannati è orientare il palinsesto verso quello che più spesso manca al cinema italiano contemporaneo: uscire, spostarsi, cambiare aria, votarsi ad altri luoghi e culture, trasferirsi e dire, almeno per un po’, addio ai capoluoghi del cinema, seguire nuove tracce, abitare quello che non ci assomiglia e per questo uscire dallo spirito omiletico che guarda alle cose di “casa nostra” con troppa saccenteria. Si smarcano per fortuna da questa noia, e questa sì è vera noia, Matteo Garrone, Andrea Segre, Giorgio Diritti, Emma Dante e Alice Rohrwacher.

Con l’approccio stilistico “migrante” il destino è rimanere «invischiati» (cit. ancora Bajani) definitivamente, come accadde ad Ermanno Olmi che trovando consuetudine nell’Altopiano di Asiago – ecco il dimorare: un ingrediente necessario al cinema? –, riuscì nell’impresa di Torneranno i prati (2014), una sola nottata verso la fine della prima guerra mondiale.

Il cinema di Minervini si sporca anch’esso di paesaggi, animali e persone che non gli appartengono per motivi di sangue; lo “stile Minervini” è un cinema libero da vincoli geografici che sa scoprire patrie problematiche, complesse, radicali, ma stavolta accade in retromarcia. È il 1863, durante la Guerra di Secessione, in totale empatia con una pattuglia nordista destinata alla decimazione. La contaminazione con la gente delle sue nuove patrie è sottocutanea, si percepisce uno sguardo profondamente credente nell’umanità tutta, anche di quelle creature che in termini percettivi potrebbero creare disgusto, per dirla con le emozioni che accendono il botteghino di questa difficile estate.

Da forme a personaggi

Minervini, volutamente smemorato in tema di distanza e vicinanza di idee, affida loro il copione che non è mai un foglio scritto, ma sempre una domanda aperta, da svolgere a partire dalla propria morale, dal proprio orizzonte valoriale. I Dannati, allora, ci offre dei soldati che diventano personaggi man mano che marciano, che sistemano le tende, che condividono pensieri, che patiscono la fame e che, sì, anche muoiono di stenti, di freddo, di spari.

Lentamente il film prende forma perché dalla persona di oggi si crea il personaggio di ieri e sullo sfondo rimane la dialettica tra realtà e verità tipica del documentario. Una pattuglia che dovrebbe essere omogenea visto che combatte con la stessa divisa e si crede dalla parte giusta della storia, ma che si scopre, invece, grazie al “metodo Minervini”, meno tinta unita di quanto si credeva. La conseguente messa in superficie del sistema di credenze di questa America, del presente e del passato, viene dal lasciare liberi – attenzione, non è improvvisazione! – gli attori di prendere parte alla scena attingendo a se stessi, tramite delle domande a monte che rappresentano la vera direzione degli interpreti, l’unica che il regista sente necessaria. Nella versione originale il lessico regionale di ciascun attore accentua quest’anima poliedrica dell’opera.

E qui, in questo anomalo processo cinematografico dove nemmeno il finale era già deciso, niente viene censurato, nemmeno la radicata religiosità, siamo sensibilmente oltre la spiritualità, che in svariate situazioni prende il sopravvento dialogico mettendo in crisi credenti e atei, inconsapevolmente a braccetto, verso un nemico del quale ciascuno dipinge un volto di senso completamente differente. Com’è umana questa America sotto lo sguardo di Minervini.

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Sull'autore

Arianna Prevedello

Scrittrice e consulente, opera come animatore culturale per Sale della Comunità circoli e associazioni in ambito educativo e pastorale. Esperta di comunicazione e formazione, ha lavorato per molti anni ai progetti di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova e come programmista al Servizio Assistenza Sale. È stata vicepresidente Acec (Associazione Cattolica Esercenti Cinema) di cui è attualmente responsabile per l’area pastorale.