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L’ABBAGLIO (Roberto Andò)
Il silenzio e il cicaleccio

La recensione di Francesco Crispino di Filmcronache

IL TESTO

Ispirato a fatti realmente accaduti nel 1860 e al racconto Il silenzio di Leonardo Sciascia [contenuto nella raccolta di racconti Il fuoco nel mare], L’abbaglio segna il ritorno dietro la macchina da presa del palermitano Roberto Andò, artista intermediale che da anni porta avanti il proprio discorso muovendosi tra cinema, teatro e letteratura. Il suo decimo lungometraggio, produttivamente assai più ambizioso dei lavori precedenti, si distingue innanzitutto per le conferme da cui è attraversato e che riguardano più piani. A cominciare dall’ambientazione – ancora una volta (la sesta su dieci) nella sua Sicilia —; e poi quello dell’ispirazione — dove con maggior evidenza del solito appare la filiazione con il proprio mentore Leonardo Sciascia, e non solo perché il film ne traspone direttamente un racconto, non tanto per il gusto del paradosso dal quale è informato, quanto per il mirabile elogio del silenzio, di cui lo scrittore di Racalmuto era un grande fautore, che Andò mette in bocca al proprio protagonista. La linea di continuità che L’abbaglio evidenzia nell’enunciazione di Andò riguarda però anche l’affabulazione – contraddistinta ancora una volta da una cornice storica nella quale sono innestati elementi di fantasia —, l’orizzonte tematico, con il Nostos a dare forma al discorso e con l’ennesimo protagonista che torna nella propria terra per veder sfiorire le proprie speranze in disillusioni —, così come il team di collaboratori, laddove si ritrova il medesimo gruppo di scrittura (formato con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso), la stessa crew tecnica nei ruoli principali così come i principali attori del precedente La stranezza. 

Qui l’azione è incentrata sull’impresa dei Mille, benché il protagonista del film non sia Garibaldi, bensì il colonnello Orsini e due furfanti, interpretati da Ficarra e Picone nei quali si rispecchiano i memorabili cialtroni della Golden Age della commedia all’italiana (La grande guerra in primis). Ed è forse proprio in questo tentativo di riesumazione della commedia all’italiana che il film mostra meno vitalità rispetto ai titoli precedenti, poiché Andò sembra meno a suo agio rispetto al registro del grottesco, nel quale invece ritrova sempre la propria vis enunciativa. Tanto che L’abbaglio appare come un’opera animata da apprezzabili intenzioni, ma dagli esiti altalenanti, intrisa di profondità discorsiva, di cui tuttavia talvolta disperde l’energia, ne dissipa il potenziale attraverso digressioni inessenziali. Un’opera in grado di ispirare benevolenza, che tuttavia non diventa mai convinto amore.

LA VIDEORECENSIONE

 

 

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).