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LE DÉLUGE – GLI ULTIMI GIORNI DI MARIA ANTONIETTA (Gianluca Jodice)
L’intimità ferita dell’ancien régime

  1. Il re di Francia Luigi XVI e la regina Maria Antonietta scendono da una carrozza e, presi in consegna da un manipolo di rivoluzionari, vengono rinchiusi con i loro due figlioletti e una servitù ridotta all’osso nella Tour du Temple, un castello medievale alle porte di Parigi, in attesa che si compia il loro destino. Nei pochi mesi successivi alla loro incarcerazione cadranno i simboli di un’epoca e tutte le maschere: quella dei due reali, come figure pubbliche e private, e quella della Storia, che da allora volterà definitivamente pagina…

Rifiutato (comprensibilmente) da Cannes e accolto invece a braccia aperte da Locarno, Le déluge è un film intenso e vibrante. Riassumendo le vicende conclusive dell’ancien régime in un pugno di mesi finora sempre trascurati dalla rappresentazione cinematografica (qui immaginati sulla base dei diari di Cléry, il valletto del re rimasto con lui sino alla fine) e rinunciando alle tipiche consuetudini del film storico, il secondo lungometraggio di Gianluca Jodice, dopo l’esordio con Il cattivo poeta (2020), anziché concentrarsi sulla sfarzosa frivolezza della corte di Versailles o sull’impeto iconoclasta della Rivoluzione francese immerge lo spettatore nell’intimità spaurita, ferita e umiliata dei discendenti di Ugo Capeto. Osservati in quelle settimane fatali, prima del patibolo e della ghigliottina, con un registro filmico calibratissimo, capace di contenere, nella sua rigorosa oggettività di sguardo, un’inedita ed emotiva soggettività.

Se questa inversione di prospettiva, rispetto all’iconografia classica ispirata al triplice motto liberté, egalité, fraternité, poteva sollevare, in partenza, qualche perplessità ideologica, la pregnanza filmica di Le déluge allontana ogni pregiudizio e ogni sospetto di stampo reazionario. Interessato unicamente alla condizione umana, anche quella nascosta sotto cipria, merletti, strascichi e parrucche, il regista napoletano, che qui firma anche la sceneggiatura con Filippo Gravino, si rivela autore maturo ed espressivo, circondato per l’occasione da collaboratori altrettanto consapevoli dei propri mezzi: oltre agli efficaci protagonisti, Guillaume Canet e Mélanie Laurent, Daniele Ciprì (fotografia), Tonino Zera (scenografia), Massimo Cantini Parrini (costumi), Fabio Massimo Capogrosso (colonna sonora).

Girato in Piemonte, nelle residenze sabaude (la Reggia di Venaria reale, la Palazzina di caccia di Stupinigi, il castello di Agliè) e suddiviso in tre atti (“Gli dèi”, “Gli uomini”, “I morti”), il film, sganciandosi da ogni filtro preconfezionato, mette dunque in scena una parabola esistenziale che dall’opulenza autoreferenziale sfocia nella (tardiva) presa di coscienza individuale. Una mise en abîme visualizzata plasticamente, sullo schermo, nella spoliazione del rango nobiliare attraverso il cambio degradante dell’abbigliamento. Se nel primo atto la ricostruzione dell’immaginario settecentesco è definita quasi interamente da un solo ambiente, il sontuoso salone in cui vengono provvisoriamente sistemati i reali, nel secondo atto, consumato nelle luride celle dove sono rinchiusi, prima insieme, poi separati, re e regina, le carrellate sinuose svaniscono e la macchina a spalla, introdotta in luoghi ben più angusti, produce scossoni nervosi che restituiscono, accentuandole, le sofferenze dei reclusi, tra topi, lenzuola sporche, camicie da notte mai lavate e pranzi senza posate. Fino al terzo atto, in cui Luigi XVI e Maria Antonietta, proprio nei momenti che precedono il definitivo distacco, arrivano a riscoprire comprensione umana e intesa affettiva, e nel quale le riprese più controllate, con un uso sapiente dei primi piani, concorrono a generare una toccante atmosfera da requiem. Una sospensione degli eventi, in attesa del loro precipitare, dalla quale scaturisce quasi una conciliazione tra le parti contrapposte. Perché di fronte alla morte, sembra dirci Le déluge, la tragedia, alla fine, investe tutti. Carcerati e carcerieri. Monarchi e rivoluzionari.

Regia: Gianluca Jodice

Interpreti: Guillaume Canet, Mélanie Laurent, Aurore Broutin, Hugo Dillon

Nazionalità: Italia, Francia

Durata:101’

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.