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MOTHER (2025) la recensione
L'apertura di orizzonti di Venezia 82

Mother

Quanta umanità può esserci nella santità? La Madre Teresa messa in scena dalla regista Teona Strugar Mitevska è una donna forte e piena di dubbi, rappresentata in tutta a sua carnalità terrena. Teresa è un corpo vivo, una santa sporca del sangue dei malati che cura e con le mani sempre al lavoro. La regista fa una scelta estetica radicale, ponendo Noomi Rapace -che interpreta magistralmente Teresa- nel riquadro cinematografico come fosse ritratta in un dipinto di Beato Angelico. Dietro di lei solo l’essenziale, ampi fondi monocromi e chiari, geometrie di architetture semplici che la incasellano.

Citando, ancora, delle suggestioni artistiche, la vediamo ieratica, come vivesse nelle stanze e negli interini dei ‘pittori del silenzio’, come fosse in un ritratto del danese Hammershøi, tanto amato dal regista Dreyer, autore dell’iconico La passione di Giovanna d’Arco (1928). L’inquadratura, seppur precisa, è sempre scentrata, mantenendo i volti dei protagonisti nella parte inferiore dell’immagine, quasi che questi stiano galleggiando nelle acque della loro esistenza, in cui il cielo occupa più spazio di quanto l’occhio vorrebbe.

Questa forzatura dello sguardo concluderà nel momento in cui Teresa potrà vivere la sua nuova vita come fondatrice delle Missionarie della Carità. Madre Teresa è narrata nei sette giorni conclusivi della vita conventuale del suo primo incarico in India. La vediamo come suora   superiora della Congregazione delle Suore di Loreto, tra la vita affollata della Calcutta britannica, nelle cui strade i poveri fanno da marciapiede.

Il racconto cinematografico affronta con durezza i temi della fede, dell’amore, della vita e della morte. Nei sette giorni del racconto, Teresa attende la lettera dal Vaticano che approvi la nascita del nuovo ordine di suore, nato ufficialmente il 18 agosto 1948. Di contrasto con le inquadrature sempre formalmente precise è la colonna sonora, volutamente antistorica, che, con sonorità rock e metal, sottolinea il tumulto interiore della futura santa, in opposizione alla sua pacata determinazione e ai suoi movimenti spesso misurati.

La regista Mitevska torna a Venezia per aprire la sezione Orizzonti con una pellicola matura, punto di arrivo di un percorso estetico e di contenuti che nel racconto di Mother raggiunge un equilibrio notevole. Di origine Macedone -come Madre Teresa-, Mitevska ha raccontato nei suoi film storie del complesso mondo balcanico. Una realtà intrisa di varie religiosità, multi-culturale e multi-linguistica. La ricerca e lo studio per questo film è durata venticinque anni, permettendo alla regista di intervistare persone che hanno conosciuto madre Teresa. Dice la regista, alla fine di questo studio: ‘giudico la sua santità dalle sue azioni e non dai suoi modi.’

La Calcutta di Mother è rappresentata con pochi ambienti e luoghi, in questi ritroviamo un ventaglio di situazioni umane che toccano le corde profonde dell’esistenza. Dal medico indiano ateo e positivista, alla suora polacca convertita, per necessità, dall’ebraismo al cristianesimo e ora innamorata di un uomo, dalla suora che vive la sua comfort zone nel convento, al prete pieno di dubbi e colmo di dottrina, a Teresa stessa, che cerca la sua fede in Dio, perduta nello stare tra i più poveri, vivendo con il dilaniante dubbio che tutto questo sia solo il volere del demonio, intento a gonfiare la sua vanità.

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Sull'autore

Simone Agnetti

Simone E. Agnetti, Brescia 1979, è Laureato con una tesi sul Cinema di Famiglia all’Università Cattolica di Brescia, è animatore culturale e organizzatore di eventi, collabora con ANCCI e ACEC, promuove iniziative artistiche, storiche, culturali e cinematografiche.

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