All’indomani della Seconda guerra mondiale, mentre il mondo è ancora sconvolto dagli orrori dell’Olocausto, al tenente colonnello Douglas Kelley, psichiatra dell’esercito americano, viene affidato un incarico inedito: valutare psicologicamente alti gerarchi nazisti fra cui l’ex braccio destro di Hitler, Hermann Göring, un uomo che Kelley inquadra subito come carismatico, narcisista e fortemente manipolatore. Contemporaneamente gli Alleati, sotto spinta del giudice statunitense Robert H. Jackson, studiano la fattibilità di istituire un tribunale internazionale che possa giudicare davanti al mondo i criminali di guerra del nazismo. Si tratta del processo di Norimberga, il primo evento giudiziario plurinazionale destinato a cambiare per sempre la Storia a venire.
Il prima, il durante e gli effetti del dopo processo di Norimberga. Se il film di Vanderbilt, già “non casualmente” sceneggiatore del fincheriano Zodiac (2007), considera “classicamente” i tre momenti temporali del primo, noto procedimento “riparatore” dei crimini perpetrati nella II Guerra Mondiale, l’elemento che lo rende interessante è certamente il focus sul rapporto fra lo psichiatra Kelley e Göring, enunciato in modo tale da elevarsi a simbolo dello scontro/incontro fra visioni di mondo, paradigmi storici, fragilità umane. L’indagine psicologica della “mente malvagia” si avvicina qui più all’analisi motivazionale del serial killer che non a lambire il concetto di “banalità del male” proposto da Arendt. Con un’impostazione rigorosa di scrittura e regia, e nutrito dalle interpretazioni potenti di Russell Crowe (che recita anche in perfetto tedesco), Rami Malek e Michael Shannon, il film procede inizialmente lungo due linee narrative (la fattibilità del processo studiata dal giudice Jackson e l’approccio psichiatrico di Kelley a Göring) per poi confluire nel teatro processuale vero e proprio, il cui interrogatorio dell’alto funzionario nazista è informato in tempo reale come un drammatico, tesissimo atto unico. La tensione in crescendo del testo include gli aspetti emozionali del caso, scespirianamente incoraggiati alla catarsi dalla visione dei reali filmati sulla scoperta dei lager nazisti. Ma il punto, la dolorosa attualità e l’apice terminale del film, è ciò che lo rende dialogante col pubblico contemporaneo, specie quello statunitense. Alla provocazione utopistica per cui il processo di Norimberga fu fatto “affinché non si ripeta più”, la dolente quanto tragica risposta proviene da Kelley, ridotto a inascoltata “voce nel deserto” e a un destino parallelo a Göring, suicidatosi col cianuro: “I nazisti sono e saranno in tutto il mondo, anche in America”. Per quanto patinato nella ricostruzione e per certi aspetti “didattico” nella narrazione, questo ennesimo lungometraggio su Norimberga ha le sue ragioni d’esistere.
Sceneggiatura e regia: James Vanderbilt
Cast: Russell Crowe, Rami Malek, Michael Shannon
USA 2025
Durata: 148′
