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Ha ancora una volta le dimensioni del viaggio che si sviluppa nel Tempo e nello Spazio il terzo lungometraggio del cinese Bi Gan, che con Resurrection compie un ulteriore salto in avanti rispetto a quanto visto e apprezzato in precedenza, portando qui a definitiva maturazione il proprio stile componendo una sinfonia audiovisiva di valore assoluto. Un viaggio ipnotico e sconvolgente che, come uno specchio deformante, si riflette attraverso un universo distopico nel quale l’intera umanità ha perso la facoltà di sognare e di cui è protagonista un “creatore di fantasmi”, un mostro antropomorfico che ha ancora la possibilità di farlo e al quale Bi Gan affida il compito di attraversare l’intero ‘900 come un icononauta. Un viaggio diviso in quattro capitoli con prologo ed epilogo, organizzato come un percorso nel e attraverso il Cinema, e declinato attraverso i generi e i linguaggi che ne hanno connotato le epoche. Un’operazione potente quanto affascinante, concettuale ed emotiva, che Bi Gan padroneggia attraverso una messinscena dettagliata, un montaggio lirico alla continua ricerca di correspondances e un abbagliante utilizzo della macchina da presa, che trova il proprio acme espressivo nel magistrale pianosequenza di 37 minuti – forse uno dei più audaci mai realizzati – che compone il quarto capitolo della vicenda ambientato durante la notte di capodanno del 1999.
Ghost-story e film-esperienza, Resurrection è un’opera letteralmente fuori norma, inclassificabile, senza misure, che si può adorare o detestare, ma che rappresenta probabilmente la riflessione definitiva sul Cinema e sull’esperienza spettatoriale che è ha prodotto.
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