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RITROVARSI A TOKYO (Guillaume Senez)
Il pezzo mancante

Jérôme, detto Jay, è un tassista francese che vive da anni a Tokyo. Ogni giorno percorre la città in lungo e in largo trasportando passeggeri, con l’unico obiettivo di ritrovare la figlia Lily, che non vede da nove anni dopo la fine del suo matrimonio con una donna giapponese. La legge nipponica, infatti, non prevede l’affido congiunto né il diritto di visita per il genitore non affidatario, e così, dopo vani tentativi di ottenerne la custodia, Jay ha perso le speranze di rivedere la figlia, ormai adolescente. Intenzionato a rientrare a Parigi, incontra però Jessica, una madre francese a cui è stato sottratto il figlio. E un giorno, durante una sostituzione casuale al lavoro, Lily sale proprio sul suo taxi, senza riconoscere chi lo sta guidando…

Due fil rouge legano Ritrovarsi a Tokyo con il precedente lungometraggio di Guillaume Senez, Le nostre battaglie: le dinamiche famigliari, che costituiscono di entrambi i film il programmatico orizzonte narrativo, e la presenza comune, come protagonista, di Romain Duris. Nel nuovo lavoro, così come nel titolo girato nel 2018 dal regista belga, il racconto poggia su un’assenza, tanto fisica quanto psicologica, appartenente alla ristretta cerchia relazionale. Se nell’intenso Le nostre battaglie era la giovane madre di un operaio a scomparire da casa, sopraffatta dalla depressione, lasciando di colpo al padre la difficile gestione della quotidianità dei loro figli, in Ritrovarsi a Tokyo la figura mancante (il titolo originale, non a caso, è Une part manquante) è la figlia dodicenne del tassista francese. Se poi indietreggiamo fino a Keeper, l’opera d’esordio del 2015, rigorosa e lucida, anch’essa a tema famigliare (una coppia di quindicenni in attesa di un bambino: una gravidanza, all’inizio indesiderata, poi difesa con ferma convinzione nonostante le contrarietà esterne), appare evidente come il punto nevralgico del cinema di Senez siano proprio, nella catena genitoriale-filiale, i tasselli da ricomporre o aggiungere.

Anche Ritrovarsi a Tokyo, al pari dei film citati, si segnala per una encomiabile rinuncia a derive larmoyantes: la descrizione delle giornate lavorative di Jay e, soprattutto, di ciò che accade dopo il primo fortunoso incontro del padre con la figlia, resta opportunamente nei confini di un’emotività non ricattatoria, grazie all’eccellente interpretazione di Duris (davvero apprezzabile la sua padronanza della lingua del Sol Levante). Se dietro ai sorrisi amari e alla compostezza malinconica traspare, lacerante ma silenziosa, la restituzione di un dramma intimo e di un precario equilibrio personale, alcuni passaggi del film (le videochiamate con il padre in Francia e, in particolar modo, il rapporto con la fragile Jessica, che rischia di finire nella stessa condizione di Jay) procedono invece a corrente alternata, rivelando talvolta più una necessità di riempimento della scrittura filmica che una reale esigenza di snodi propulsivi. Le ‘figure di contorno’, in altri termini (compresi i colleghi di lavoro di Jay e l’assistente legale), appaiono meno incisivi del ruolo principale. Ma resta comunque significativo, e pregnante, il tentativo di mostrare un Giappone diverso e ben più stratificato di quello abitualmente raffigurato dal cinema contemporaneo. Ancora incardinato su un’impalcatura giuridica, severa e autoreferenziale, che ignora il valore autentico dei sentimenti.

Regia: Guillaume Senez

Interpreti: Romain Duris, Judith Chemla, Mei Cirne-Masuki, Tsuyu, Shungiku Uchida

Nazionalità: Francia, Belgio, Giappone, 2024

Durata: 98’

 

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.