Al suo terzo lungometraggio di finzione, Carla Simon trae ancora spunto dalle vicende della propria famiglia, per costituire insieme ai precedenti Estate 1993 e Alcarras un’ideale trilogia sulla personale memoria del passato. Intitolato Romeria, che in spagnolo significa pellegrinaggio, il film è il racconto della sua alterego Marina, una 18enne aspirante studentessa di cinema, orfana di entrambi i genitori, che nel luglio del 2004 giunge nella galiziana Vigo sulle tracce anagrafiche di Fon, il proprio padre biologico che di quel territorio era originario. Accompagnata dal diario tenuto dalla madre negli anni 80 – ovvero quelli condivisi con suo padre – trascorre una vacanza in barca a vela con zii e cugini animata dal desiderio di far luce sulle esistenze e le morti dei genitori, ma anche di ottenere dai nonni il riconoscimento quale figlia legittima di Fon. Strutturato sulla doppia voce narrante rappresentata da due diari, quello della madre e quello di Marina che gira quotidianamente con la videocamera, Romeria è, ancor più dei precedenti lavori, una profonda riflessione sul tema del rimosso, delle radici e delle memorie di famiglia quali strumenti non solo di formazione dell’identità individuale ma anche della sua legittimazione. È interessante notare come la struttura binaria inizialmente ben distinta e declinata su un registro realistico vada a modificarsi man mano che l’indagine di Marina procede in profondità andando a solcare ferite dolorose di un passato che non solo le era stato nascosto ma di cui i suoi nonni si vergognavano. A quel punto, infatti, il film va a confluire in un’osmosi narrativa e temporale, laddove Marina e sua madre si sovrappongono non solo idealmente ma nell’interpretazione della stessa attrice. È di fatto il cinema dei fantasmi che, ancora una volta, prende corpo e sostanza e che, grazie al suo potere immaginifico, riesce a riempire i vuoti di una memoria necessaria. Per dirla con Rithy Pahn è quell’immagine mancante che la settima arte è chiamata a generare e in tal senso, Romeria è un’opera che, con levità ma profondità, guarda e riguarda l’essenza intima di ciascuno.