L’infanzia di Simone Veil, ebrea francese non praticante, la sua prigionia, appena sedicenne, nei campi di concentramento di Auschwitz e Bobrek, la perdita della sua famiglia, le sue battaglie politiche. Magistrata, segretaria generale del Consiglio superiore della magistratura, poi ministro della Salute, fautrice della depenalizzazione dell’aborto in Francia, quindi europarlamentare e prima donna presidente del Parlamento europeo, dal 1978 al 1982. Una donna sospinta da un inesauribile slancio ideale e civile, ma anche un essere umano tormentato dal ricordo della deportazione e dell’Olocausto…
Arriva sui nostri schermi quattro anni dopo la sua realizzazione, Simone Veil – La donna del secolo, il nuovo biopic di Olivier Dahan dopo La vie en rose (2007) e Grace di Monaco (2014). Se l’attrazione verso le biografie in immagini trova dunque conferma, una volta di più, nell’orizzonte filmico del regista transalpino, il suo nuovo lavoro si rivela, alla prova dei fatti, inferiore al lungometraggio dedicato a Edith Piaf ma superiore a quello, alquanto insipido, su Grace Kelly. Se l’accuratezza della ricostruzione storica, interna ed esterna (la Costa azzurra, il Parlamento europeo, il campo di concentramento di Auschwitz), contrassegna un punto di forza del film, la sostanziale, prona aderenza al percorso esistenziale e politico della prima donna presidente del Parlamento europeo, invece, ne demarca i limiti meramente ‘ritrattistici’ e ‘illustrativi’, senza che ad ispirare sceneggiatura e messa in scena sia uno scatto personale, un filtro autoriale, un tratto peculiare e soggettivo pur nei doveri oggettivi di una corretta ricostruzione biografica.
Al di là dello scardinamento cronologico, oltre, dunque, una scansione che non rispetta, sullo schermo, la linearità consequenziale, intersecando di continuo i piani temporali, l’esigenza di restituire, integra, la figura di Simone Veil in eventi storici nevralgici del Novecento, attraverso il suo agire (talmente energico da suscitare stupore, più che ammirazione), direziona e regola ogni funzione espressiva, subordinandola ad un ricercato, insistito e omnicomprensivo riflesso spettatoriale. L’adesione cinematografica ad una figura cardine nella difesa dei diritti civili (compresa la dignità delle cure per i detenuti nelle carceri francesi e algerine e per i malati di Aids) si nutre, in effetti, di un afflato umanista, contro ogni ingiustizia e discriminazione, accalorato di un fervore talvolta ridondante e alimentato da una dimensione verbale traboccante. In quest’ottica enfatizzante, tutta schiacciata sul personaggio, anche l’apparato registico, per quanto di prim’ordine nel suo vasto repertorio di movimenti di macchina articolati, piani sequenza avvolgenti, primissimi piani, pare più un riduttivo adeguamento formale alla tenacia e risolutezza della protagonista che una convincente, propulsiva modalità stilistico-espressiva.
Fortemente voluto dall’attrice Elsa Zylberstein, Simone Veil – La donna del secolo, pur restituendo il clima di rimozione pubblica che tacitò, nel dopoguerra francese, i reduci dello sterminio nazista, nel suo intransigente sdegno civile, resta così un film proteso palesemente al largo riscontro di pubblico. Circoscrivendo il proprio raggio d’azione, senza infamia e senza lode, all’assolvimento del compito esplicativo che si era posto fin dall’inizio.
Regia: Olivier Dahan
Interpreti: Elsa Zylberstein, Rebecca Marder, Élodie Bouchez, Judith Chemla, Olivier Gourmet
Nazionalità: Francia, 2021
Durata:140’