Iris si è trasferita dalla Francia in Corea del Sud. Per mantenersi, pur senza alcuna esperienza nel settore, insegna la sua lingua a Seoul. Il suo metodo prevede la scrittura su dei cartoncini di brevi frasi in francese, che cercano di descrivere le emozioni più profonde vissute dalle persone che le pagano il corso, e la ripetizione, come un mantra, di questi piccoli componimenti, riassuntivi, per l’appunto, di storie personali, sentimenti, memorie. Nell’arco di una giornata, Iris fa lezione prima a una pianista, poi a una coppia di produttori cinematografici…
Un minimalismo contenutistico (sei soli personaggi in scena, motori di eventi marginali apparentemente senza ripercussioni sulle loro esistenze) e formale (riprese quasi esclusivamente a camera fissa, con minimi movimenti di macchina a seguire la protagonista nei suoi spostamenti) che sfiora l’evanescenza ma intriga proprio per le sue rarefazioni narrative e stilistiche. Le caratteristiche di Una viaggiatrice a Seoul (vincitore alla Berlinale 2024 dell’Orso d’argento – Gran premio della giuria) si confermano in linea con il cinema introspettivo ma naturalistico di Hong Sang-soo, privo di sovrastrutture, talmente lieve da rasentare la vacuità, eppure profondo nello stimolare nello spettatore, in absentia, connessioni intime e libere identificazioni.
Senza forzare, dunque, situazioni e caratteri, lasciando scorrere la vita, così come si manifesta, quasi con sguardo documentaristico, senza premesse ‘giustificative’ e chiusure emblematiche, il film dell’autore coreano intercetta, mettendoli in comunicazione interna, il rapporto tra le diverse età dell’esistenza, la riflessione sulla ricerca di un proprio spazio nel mondo, la sensibilità artistica e il desiderio di coltivare con successo alcune nobili discipline (musica e poesia, in questo caso), le interconnessioni emotive delle diverse lingue (coreano, inglese, francese), nonostante la loro distanza fonetica e lessicale. Tutto ciò, come detto, in forme cinematografiche sganciate da qualsivoglia preimpostazione teorico-ideologica, affidate a performance attoriali ben sintonizzate su tale registro ‘in sospensione’, in particolare quella di Isabelle Huppert, alla terza collaborazione con Hong Sang-soo dopo i precedenti Another country (2010) e La caméra de Claire (2017). I suoi incontri, fintamente casuali e provvisti di una sotterranea, buffa ironia, sono il volano di un flusso invisibile che resta dentro la superficie delle cose ma è capace di coglierne, stratificate, le sfumature, i ‘falsi movimenti’, le agitazioni carsiche e le placide serenità. Un meccanismo tanto aleatorio nel suo dipanarsi sullo schermo quanto affascinante nella sua estrema libertà espressiva.
Essenziale ed esiziale sembrano confluire, così, in un’unica chiave semantica, una nuova sintassi esistenziale sospesa sul filo sottile che separa e lega l’inconcludenza alla pregnanza. E la stessa figura di Iris, donna dal passato misterioso, bucolica suonatrice di flauto, amante della natura, bevitrice instancabile, senza alcuno stordimento alcolico, del makgeolli, il vino rosso coreano, assomma su di sé sia lo charme di straniera sconosciuta sia la rêverie di presenza fantasmatica.
Regia: Hong Sang-soo
Interpreti: Isabelle Huppert, Lee Hye-yeong, Kwon Hae-Hyo, Yunhee Cho
Nazionalità: Corea del Sud, 2024
Durata:90’