Tre anni dopo il precedente, fluviale Leila e i suoi fratelli, Saeed Roustaee compone nuovamente un ritratto familiare incaricato di fungere, amplificato, da sismografo delle scosse telluriche che agitano in profondità la società iraniana. Ma se già l’esito del film del 2022 era parso quantomeno intermittente, in Woman and Child le perplessità si fanno ancora più marcate. Girato con l’autorizzazione ufficiale della Repubblica islamica e nel pieno rispetto delle leggi in vigore, in particolare sull’uso dell’hijab, il film dilata a dismisura il dramma di un’infermiera quarantenne, vedova, con due figli cresciuti da sola, di cui uno di essi, adolescente sfrontato e ribelle, viene sospeso da scuola per una settimana a causa delle sue intemperanze. Da questa prima ricognizione sui rapporti intergenerazionali, che coinvolgono anche madre e sorella della donna, oltre agli suoceri e ad un autista di ambulanze con il quale l’operatrice sanitaria è sul punto di risposarsi, Woman and Child gonfia di eccessi melodrammatici l’intera vicenda: morti premature, abbandoni repentini, gravidanze inattese, liti giudiziarie, vendette sfiorate: un repertorio da soap opera che la sceneggiatura e la regia di Roustaee non si curano di calmierare, in una ubriacatura di fatti, azioni, intenzioni, lacrime e sfoghi verbali che soffocano, se quella fosse davvero l’intenzione, la critica ad un sistema patriarcale che in Iran priva le donne di ogni diritto. Stupito dalla mancanza di sfumature e sottigliezze, costretto a subire una ‘spettacolarizzazione’ del dolore alquanto deplorevole, sommerso da situazioni-limite e da un finale posticcio e consolatorio, lo spettatore si ritrova così a partecipare a sofferenze più esibite che vissute. Interrogandosi sul senso dell’intero progetto, sul quale pesa, e non poco, una pericolosa ambiguità etica e morale.
WOMAN AND CHILD (Saeed Roustee) La ‘spettacolarizzazione’ del dolore
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