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DO NOT EXPECT TOO MUCH FROM THE END OF THE WORLD (Radu Jude)
Una società alla deriva

Un’intera giornata al volante di un’auto, nel traffico caotico di Bucarest, per recarsi a casa di lavoratori rimasti invalidi dopo gravi infortuni, filmando con il cellulare le loro testimonianze per uno spot sulla sicurezza e sull’impiego dei dispositivi di protezione commissionato da un’azienda austriaca. É questa, da una parte all’altra della capitale rumena, senza sosta, con la sveglia delle 5:50 a decretarne l’inizio, la sfiancante e sottopagata quotidianità di Angela, assistente di produzione, responsabile di casting e autista, ma anche, tra interviste, riunioni e beghe di famiglia, influencer a caccia di follower con un avatar maschile dai volgarissimi commenti sessisti…

Vincitore del Premio speciale della giuria al Festival di Locarno 2023, Do Not Expect Too Much from the End of the World è un caleidoscopico, caustico e, a tratti, esilarante ritratto della precarietà contemporanea calato in una Romania post comunista alla deriva tra illusioni capitalistiche, speculazioni edilizie, chimere tecnologiche e residui di un passato inestirpabile. Un cortocircuito sociale ed esistenziale che il film di Radu Jude, anarchico nella forma ma rigoroso nella sostanza, amplifica con un’ironia dissacrante che non risparmia niente e nessuno, facendosi esplosivo pamphlet politico orientato a far deflagrare, in una continua collisione narrativa, speranze e frustrazioni, euforie e rassegnazioni.

Specchio riflettente e allo stesso deformante di un mondo globalizzato, neoliberista e spregiudicato e, di conseguenza, megafono di esasperate insicurezze (non solo economiche) che oscillano tra la necessità di sopravvivenza e la perdita di dignità, Do Not Expect Too Much from the End of the World alterna il bianco e nero al colore, l’odierna ed estenuante routine di Angela con gli spezzoni di un film del 1981, diretto in pieno regime di Ceausescu da Lucian Bratu, con protagonista un’altra Angela, pure lei, di mestiere taxista, perennemente a bordo della propria auto. Un dialogo a distanza tra due donne e un confronto tra stagioni lontane per sottolineare che, in un gioco sottile di analogie e differenze, nulla, in fondo è davvero cambiato: non si stava meglio quando si stava peggio, ma l’oggi, con le sue contraddizioni, frantumazioni e nevrosi, non ha assecondato il desiderio di cambiamento di ieri, né smaltito la rabbia sottaciuta di allora. L’indipendenza tanto auspicata dall’Angela del 1981 si è concretizzata, più di quarant’anni dopo, in una nuova sottomissione, non più al “socialismo reale” bensì alla gig economy.

Procedendo per accumulazione, navigando solo apparentemente in una piatta superficialità, il film di Radu Jude, invece, con il suo sarcasmo graffiante rivela una dispersione valoriale inquietante: dalla direttrice marketing, pronipote di Goethe, che non ha letto una riga dell’opera del grande scrittore tedesco, passando per il funzionario cimiteriale che intende agevolare l’espropriazione della tomba in cui è sepolta la nonna di Angela per favorire la costruzione di un condominio di lusso, fino alla stessa assistente di produzione, le cui storie per Instagram e TikTok, sotto l’identità fittizia di Bóbita, sono improntate ad un turpiloquio che è solo uno sfogo “per non impazzire”, Do Not Expect Too Much from the End of the World fa delle tante distorsioni di cui si compone il vero punto di contatto con la realtà. Una realtà, buffa e cinica, comica e tragica, la cui rappresentazione attraverso il mezzo filmico diventa, a sua volta, un’ulteriore occasione di riflessione: i videocasting di Angela, gli estratti dal film del 1981, le continue citazioni cinematografiche e le battute taglienti su Godard, ma soprattutto la stessa architettura visiva allestita da Jude, scomposta e liberissima (gli ultimi quaranta minuti del film sono a camera fissa frontale), costituiscono una profonda interrogazione sui fondamenti statutari delle immagini in movimento. Sospese, ancora e sempre, tra la registrazione della realtà e la sua sistematica manipolazione.

Regia: Radu Jude

Interpreti: Ilinca Manolache, Ovidiu Pirsan, Nina Hoss, Katia Pascariu, Dorina Lazar

Nazionalità: Romania, Lussemburgo, Francia, Croazia, 2023

Durata:163’

 

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.