Il regista Ferzan Ozpetek convoca sulla terrazza di casa, per un pranzo di lavoro, le sue attrici preferite, quelle con cui ha già lavorato in passato ma anche altre nuove apprezzate interpreti, alle quali propone di girare un film sulle dieci dipendenti e le due titolari di un immaginario laboratorio sartoriale romano specializzato in costumi per il cinema e il teatro. Quel luogo, dove il rumore delle macchine da cucire fa da sottofondo alle storie delle donne che vi lavorano, si materializza indietro nel tempo, negli anni ’70, quando una costumista premio Oscar richiede alla sartoria Canova la realizzazione dei meravigliosi abiti di scena di un kolossal ambientato nel Settecento…
Inizia e termina con una grande tavola imbandita il quindicesimo lungometraggio di Ferzan Ozpetek, riprendendo e rilanciando un tratto distintivo del cinema del regista di origini turche: la cucina e il cibo come strumenti indispensabili di conoscenza e confronto, il mangiare insieme come momento cruciale nel quale far coincidere la finzione cinematografica con la realtà quotidiana, intima e spesso sofferta. La convivialità e l’autenticità dello stare seduti a tavola (unite ad altre coordinate di fondo, dall’adesione al registro melodrammatico di matrice almodovariana alla predilezione estetica per i cromatismi accesi) sono declinate, in Diamanti, oltre che in chiave metafilmica, nel segno di una solidale collegialità femminile: la coralità attoriale, altra voce indicativa dell’autore de Le fate ignoranti e La finestra di fronte, si espande qui ad una galleria allargata di diciotto interpreti principali, con Luisa Ranieri e Jasmine Trinca nei panni delle sorelle Canova, titolari dell’atelier, assai diverse per carattere, temperamento e sensibilità verso le proprie lavoratrici.
Summa, dunque, di tutto il cinema ozpetekiano, Diamanti, nutrito dalla memoria autobiografica (la reale frequentazione di Ozpetek, come aiuto regista, delle sartorie di cinema e teatro, come la celebre Tirelli), scritto con Carlotta Corradi e sceneggiato anche con Elisa Casseri, relega gli uomini a comparse e concentra il proprio raggio d’azione sui rapporti tra le dipendenti e le amministratrici del laboratorio sartoriale, esplorandone sommariamente le vicende personali e famigliari, riconducendo sempre il proprio sguardo ai manichini abbigliati, ai bozzetti da cui trarre ispirazione per le creazioni richieste, ai tessuti e ai velluti di raffinata qualità. Pur suggestiva nell’ambientazione (un ‘mondo a parte’ che profuma di eleganza e sapienza artigianale, impermeabile alle tensioni sociali dell’epoca, lasciate volutamente sullo sfondo), la prima parte del film, nella prevedibilità dei dialoghi e nell’insistenza dei primi piani, non riesce a prendere forma, scivolando senza le necessarie marcature drammaturgiche in una pericolosa dispersione e rischiando di autoconfinarsi nel recinto delle ‘belle figurine’. Ma da metà in poi, nonostante alcuni passaggi a vuoto (il marito violento di una delle sarte, interpretato da Vinicio Marchioni, che sembra inutilmente ricalcare quello incarnato da Valerio Mastandrea in C’è ancora domani, così come la consueta, reiterata nevrosi con cui Stefano Accorsi carica il proprio personaggio, un celebre regista), l’incrociarsi delle tante microstorie, in particolare quella delle sorelle Canova, si fa avvolgente, disponendo di più robusti contrappesi emotivi, stringendo personalità e destini, sia delle impiegate che delle loro titolari, in un unico afflato. Solitudini, reticenze, delusioni, dolori, ma anche aspirazioni, desideri e accettazioni di sé, a quel punto, si compenetrano: una ‘sorellanza’ coinvolgente che trova la sua esplicitazione in un finale cristallino, ricco di evocazioni e di (magnifiche) presenze fantasmatiche. Tutto ‘interno’ al confezionamento di un abito principesco, eppure metaforicamente ‘aperto’ ad un futuro di comprensione e condivisione.
Regia: Ferzan Ozpetek
Interpreti: Luisa Ranieri, Jasmine Trinca, Vanessa Scalera, Mara Venier, Geppi Cucciari
Nazionalità: Italia
Durata:135’
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