“Io non ti lascio solo” è l’impegno dichiarato di un bambino al suo cane, il motto del migliore amico che ti accompagna in avventure proibite, la promessa di una madre scritta in una lettera d’addio. C’è tutto questo racchiuso nell’omonimo film di Fabrizio Cattani, la quota italiana di “Locarno Kids”, sezione di opere per bambini al Festival del cinema di Locarno 2025.
Un titolo da annotarsi per le proposte alle scuole, ideale come film della “continuità” da far vedere alle ultime classi della primaria insieme alla prima e seconda
media, così come “Legend of the happy worker” di Duwayne Dunham, ultimo lavoro prodotto da David Lynch prima della sua morte e presentato fuori concorso con il sottotitolo “una favola per i nostri tempi”.
Io non ti lascio solo: un cammino di crescita per giovani spettatori
Cattani si ispira al romanzo “Io non ti lascio solo” di Gianluca Antoni, per seguire nei boschi della Calabria il protagonista Filo, dieci anni, che vuole ritrovare il suo cucciolo Birillo, fuggito in un giorno tempestoso. Il percorso archetipico dell’eroe diventa rito d’iniziazione in un viaggio pieno di insidie (notti all’addiaccio, loschi figuri, dobermann feroci), ma anche di aiutanti magici (amici veri e immaginari), verso la fine dell’infanzia, segnata dalla presa di coscienza che per affrancarsi dal dolore di lutti vissuti (la mamma morta di cancro) e segreti di famiglia (un fratellino mai incontrato) bisogna trasformarlo da mancanza a motivazione per andare avanti.
Il tutto raccontato con semplicità, ma anche con la giusta dose di suspense, soffermandosi spesso a riflettere sul tempo, guardando le stelle, tra ellissi e flashback, che collegano cause, effetti ed evoluzioni, facendo sentire ai giovani spettatori di non essere soli (come non lo è il protagonista), nel loro cammino di crescita.
Distribuzione: Flimclub
Legend of the Happy Worker: una fiaba sul lavoro, l’immaginario lynchiano a misura di bambino
“Legend of the Happy Worker” è invece un western ambientato in una cava del Gran Canyon, dove l’onesto e allegro operaio Joe viene casualmente messo a capo dell’organizzazione che gestisce il cantiere, assaporando i vizi del potere, morali e materiali. Da qui un rocambolesco percorso di redenzione lo porterà a rivalutare i parametri della sua felicità e a redimersi nel bene che, come in tutte le favole che si rispettino, vince sul male.
Evidenti e divertenti anacronismi si rincorrono in un mondo simbolico, che possiamo tradurre come l’immaginario lynchiano a misura di bambino: l’escavatore
(minaccia dei lavoratori) sembra un dinosauro che si combatte con un badile d’oro (emblema del valore del lavoro), Joe dialoga con il suo riflesso sullo specchio (la sua anima), la televisione (vedi comunicazione digitale) trasmette un solo canale e insegna alle nuove generazioni una sola lingua. La leggenda del lavoratore felice ci svela che la comunità e la condivisone degli obiettivi da raggiungere insieme sono il vero motore del progresso, non solo economico, ma soprattutto umano.