Il passato e il presente, il suolo e il sottosuolo, le memorie mescolate in un caos endogeno in continua ebollizione. È da questa osservazione di Napoli e delle sponde vesuviane, protratta per tre anni, che Gianfranco Rosi ha creato il suo settimo lungometraggio documentaristico, titolato Sotto le nuvole. Restituita in un bianco e nero suggestivo, assolutamente inedito per la città dai “mille colori” per dirla con Pino Daniele, la metropoli partenopea diventa luogo simbolico e metafisico di un’istantanea che scava e recupera frammenti di verità, tanto si trovino nelle antiche stanze di Pompei quanto in quelle tecnologiche dei vigili del fuoco intenti ad ascoltare e prendersi cura dei bisogni della popolazione. Tutto coesiste nella narrazione napoletana di Rosi, italiano e cosmopolita dallo sguardo da sempre equidistante a qualunque angolo del pianeta si collochi: le navi piene di grano ucraino che giungono al porto e vengono scaricate da operai siriani, il maestro che offre ai ragazzi di strada il suo tempo e il sapere improvvisando un utile doposcuola, la curatrice degli spazi sottostanti al museo nazionale che cerca di preservare memorie e identità di tutto quanto ivi viene riposto, magari non degno di esposizione nelle sale museali. Tale macchina del tempo e dello spazio, posta sotto un cielo mai sereno, assume dunque la forma di uno zibaldone narrativo che, tuttavia, fatica a trovare una sua forza drammaturgica, ovvero una sua originalità a esistere nella preesistente ricca fioritura audiovisiva, sia di finzione che documentaristica, dedicata a Napoli e dintorni. Si riscontra anche un indugio, spesso ingiustificato, nel reiterare alcune situazioni nell’ambito del racconto che purtroppo non fanno che appesantire il fluire del testo.
SOTTO LE NUVOLE (Gianfranco Rosi) Zibaldone partenopeo
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