Dead Man’s Wire: Gus Van Sant e l’ambiguità dell’eroe contemporaneo
Presentato fuori concorso all’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Dead Man’s Wire di Gus Van Sant è il sesto lungometraggio dell’autore ispirato a fatti realmente accaduti. Dopo il biopic su Harvey Milk (Milk, 2008), il ritratto di John Callahan in Don’t Worry (2018) e la cosiddetta “Trilogia della Morte” (Gerry, Elephant, Last Days), Van Sant sceglie di riportare in luce un episodio di cronaca del 1977 che aveva suscitato enorme clamore mediatico e che, secondo il regista, presenta inquietanti analogie con le dinamiche globali di oggi.
L’8 febbraio 1977 Anthony G. “Tony” Kiritsis, convinto di essere stato ingannato dalla banca che gestiva il suo mutuo e deciso a vendicarsi, fa irruzione nella sede della Meridian Mortgage Company di Indianapolis armato di fucile a canne mozze. Prende in ostaggio il presidente della società, Richard O. Hall, legandolo a sé con un cavo che collegava il grilletto dell’arma al collo della vittima: il “dead man’s wire” che dà il titolo al film. Per 63 ore tiene Hall prigioniero, reclamando cinque milioni di dollari, l’immunità da accuse e processi, e le scuse personali della famiglia Hall per averlo truffato. L’intera vicenda è seguita in diretta da radio e televisioni, trasformando Kiritsis in una figura controversa: per molti un criminale, per altri un simbolo disperato della lotta dell’individuo contro un sistema percepito come oppressivo.
Van Sant ricostruisce con rigore la realtà e le atmosfere di quegli anni, offrendo al tempo stesso un impianto visivo e stilistico che amplifica l’esperienza estetica dello spettatore. Il film oscilla tra dramma e commedia nera, spingendo a considerare una possibile empatia con un protagonista che, pur attraverso mezzi radicali e violenti, diventa l’emblema di chi si ribella alla disumanizzazione del profitto capitalistico. Centrale è anche lo sguardo sui media, capaci da un lato di dare voce all’uomo comune e dall’altro di alimentare una spettacolarizzazione morbosa della notizia.
Distribuito in Italia da BIM, Dead Man’s Wire si propone come un’opera d’autore che può trovare spazio tanto in una programmazione ordinaria quanto in percorsi di approfondimento dedicati alle ambiguità dell’esperienza umana. Perché, in fondo, chi è Anthony G. “Tony” Kiritsis? Un criminale senza attenuanti o l’espressione di un malessere collettivo che ancora oggi riguarda molti? Probabilmente entrambe le cose, e anche di più: come ogni essere umano, con le sue contraddizioni, fragilità e zone d’ombra che sfuggono a ogni etichetta definitiva.
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