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CURE A DOMICILIO (Slávek Horák)
Tra sé e gli altri, il bisogno di riconciliazione

Vlasta lavora come infermiera a domicilio in una cittadina della Moravia. È una donna generosa e fiduciosa nella medicina, dedita al marito, alla figlia e soprattutto ai suoi pazienti, mettendo le esigenze degli altri sempre davanti alle proprie. Un giorno, però, scopre di essere gravemente malata. Costretta ad abbandonare ogni certezza, capisce sulla sua pelle che l’altruismo può essere anche autodistruttivo. Grazie a una nuova amica, pranoterapista e insegnante di ballo, e a una guru dai metodi discutibili, Vlasta arriva ad accettare che, come per tutti, anche per lei valgono il bisogno di amore e di attenzione…

Al suo esordio nel lungometraggio, Slávek Horák (assistente alla regia di Jan Sverak in Kolja, Oscar come migliore pellicola straniera nel 1996) realizza con Cure a domicilio un film sul cambiamento, sulla presa di coscienza individuale. Un’opera in bilico tra dramma e commedia, che alterna momenti sofferti ad eventi buffi e, a tratti, surreali. Un repertorio di registri narrativi non sempre gestito con impeccabile equilibrio: l’immissione del dolore all’interno di atmosfere svagate (e viceversa) appare in alcuni frangenti repentina, l’insorgenza del tumore nel corpo della cinquantenne Vlasta non produce, come invece ci si aspetterebbe, una immediata, lacerante svolta psicologica, la volontà di Horák di insistere sui caratteri “preimpostati” dei suoi personaggi irrigidisce talvolta il racconto.

Cure a domicilio, “ricalcato” sulla figura della madre del regista ceco, vera assistente domiciliare nella vita, funziona con più regolarità nella presentazione del quadro esterno alla vicenda esistenziale di Vlasta, dell’inerte marito che non alza un dito in casa, scolando una bottiglia dietro l’altra, e della scostante figlia in procinto di sposarsi, che non condivide il generoso altruismo della madre. Ossia, nella descrizione delle dolenti capricciosità dei pazienti dell’infermiera, nella vacuità della “terapia alternativa” della guaritrice di anime (e non dei corpi, come si accorge fuori tempo massimo la protagonista), nel “ricambio d’ossigeno” determinato dai passi a suon di musica della scuola di ballo. E, soprattutto, in quegli squarci onirici e visionari (come l’apparizione notturna del capriolo) che slegano il film da “obbligati” meccanismi di causa-effetto.

A fare da punto di contatto emotivo, in ogni caso, resta l’efficace interpretazione di Alena Mihulová (premiata come migliore attrice al festival di Karlovy Vary), che assicura un’adeguata aderenza al ruolo. Un senso laico del sacrificio, il suo, lontano da ogni sguardo verso il Cielo, che trova comunque, nella sua totale disponibilità verso gli altri, un genuino motivo di interesse per lo spettatore.

Regia: Slávek Horák

Nazionalità: Repubblica ceca/Slovacchia, 2015

Intepreti: Alena Mihulová, Boleslav Polívka, Tatiana Vilhelmová, Slávek Horák

Durata: 92′

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.