Dover, 2014. L’ottantanovenne Bernie Jordan vive in una casa di riposo, nella quale si è trasferito insieme alla moglie René, bisognosa di assistenza a tempo pieno per le sue precarie condizioni di salute. Il suo desiderio è partecipare alla commemorazione del 70° anniversario dello sbarco in Normandia, a cui egli prese parte, come giovane recluta della Royal Navy, il 6 giugno 1944. Ai reduci inglesi in partenza per le celebrazioni del D-Day non riesce però ad unirsi, essendosi dimenticato di aderire al viaggio organizzato. Così, con il benestare di René, senza avvertire il personale dell’istituto, Bernie, di prima mattina, sale su un taxi e si imbarca sul traghetto per la Francia, dove conosce un veterano di guerra della Raf…
Una fuga ‘clandestina’ e personale, che, una volta scoperta e fatta propria dai media, finisce in prima pagina e diviene, nel clamore generale, di straripante interesse collettivo: uno schema narrativo che, sul filo tenace della memoria e su quello, ben più sottile, della terza età, accomuna tre recenti film britannici, L’imprevedibile viaggio di Harold Fry, Appuntamento a Land’s End e Fuga in Normandia. Anche nel lungometraggio di Oliver Parker, infatti, ciò che muove l’anziano Bernie (un eccellente Michael Caine, alla sua ultima prova attoriale prima dell’annunciato ritiro dalle scene), al pari dell’Harold del film di Hettie MacDonald e del Tom dell’opera firmata da Gillies MacKinnon, è il ripristino di un ‘collegamento’ con la vita interrotto in gioventù. Sanare le ferite di un tempo, contrassegnato dal dolore e dal rimpianto, e mantenere le promesse, quasi invertendo le lancette della propria storia individuale.
Anche nel caso di Fuga in Normandia, come per gli altri due titoli citati, le necessità di fluidità del racconto (ispirato a un fatto realmente accaduto) prevalgono sull’autorialità delle scelte espressive: tutto è prevedibile, nel film di Parker, i flashback che mostrano l’origine del trauma di Bernie, vissuto a 19 anni, e il motivo stesso del suo viaggio appaiono visivamente retorici, il senso di colpa provato per non essere riuscito a salvare un compagno risulta francamente scontato e pure la descrizione dell’amore pluridecennale fra due anziani che non hanno mai smesso di provare passione e intimità si muove lungo i territori dell’ordinarietà. Ma è proprio questa convenzionalità rassicurante a consentire alle interpretazioni di Caine e di Glenda Jackson (scomparsa pochi mesi dopo la fine delle riprese) di guidare idealmente lo spettatore, accompagnandolo quasi per mano, nella storia di un ‘eroe per caso’ diventato, suo malgrado, un esempio da seguire.
Con la morte sempre al fianco, quella del 6 giugno 1944 come quella, incombente, di settant’anni dopo, Fuga in Normandia, scansando abilmente con l’ironia la trappola del sentimentalismo, riesce in alcune sequenze a generare una commozione cristallina. Come quando l’ottuagenario aviere confessa a Bernie la sua vigliacca rinuncia, per dipendenza alcolica, a ricercare la tomba del fratello, probabilmente ucciso, nella carneficina del D-Day, dalle bombe da lui stesso sganciate in volo. O come quando, al tavolo di un locale, i due reduci britannici si uniscono per caso a un gruppetto di ex soldati tedeschi, anch’essi, quel giorno, a combattere, ma sull’altro fronte. La scena del saluto militare che segue il gesto distensivo e riconciliante di Bernie (la cessione dei proprio pass per far seguire loro, dalle prime file, la cerimonia commemorativa) è di quelle che scaldano il cuore e inumidiscono gli occhi.
Regia: Oliver Parker
Interpreti: Michael Caine, Glenda Jackson, John Standing, Danielle Vitalis, Will Fletcher
Nazionalità: Gran Bretagna, 2023
Durata: 96’
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