LEGGI LA RECENSIONE:
Ispirato al caso di cronaca nera del 2009 di cui è stata protagonista Stefania Albertani, la donna del comasco condannata per l’omicidio della propria sorella e per il tentato omicidio del padre e della madre, il quarto lungometraggio di finzione diretto da Leonardo Di Costanzo in realtà ha la conformazione e la prosodia di uno studio di criminologia, filtrato com’è da Io volevo ucciderla, il saggio scritto da Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali. Sia nel modo in cui la storia viene strutturata – attraverso il dialogo/collisione tra due tempi: quello nel quale la protagonista incontra uno psicologo che la aiuta a ricordare e ricostruire la vicenda avvenuta dieci anni prima; e quello appunto degli eventi che riemergono faticosamente dalla mente della donna -, sia nel modo in cui essa viene formalizzata – un incessante corpoacorpo tra lo psicologo e l’omicida, restituito nelle sue vibrazioni da lunghe sequenze in campo/controcampo e una cospicua quantità di piani ravvicinati – Elisa è un’opera travestita da crime story il cui reale intento sta però nell’esplorare i meccanismi, le zone oscure, le devianze della mente, in particolare quelle di chi si è spinto a macchiarsi di un atto tanto violento quanto inconcepibile sul piano morale. Un’opera che, se da una parte va ad aggiungere l’ennesimo personaggio isolato alla schiera dei protagonisti del regista ischitano, dall’altra costituisce il contraltare del precedente Ariaferma, titolo con il quale costituisce un dittico carcerario. Diversamente dal film del 2021 però, Elisa non raggiunge il medesimo equilibrio tra il discorso che vuole portare avanti e il modo con cui viene realizzato, poiché si affida a una messinscena composta, troppo composta, per restituire la tormentata e prismatica identità della protagonista, che la pur brava Barbara Ronchi riesce a restituire solo in parte.