Dicembre 1934. Dal treno che lo porta a Stoccolma dove riceverà il Premio Nobel per la letteratura, Luigi Pirandello sogna – tra il sonno e la veglia – i momenti salienti della propria vita e fulgida carriera. Il ricordo volge soprattutto al suo incontro e relazione platonica ma assai appassionata con la giovane attrice Marta Abba.
Celebrare, evocare e riscoprire eternamente il genio di Pirandello è un dovere che crea immancabile piacere. Rappresentarne la complessità umana e culturale al cinema non altrettanto. Ispirato dal libro Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello di Matteo Collura (Longanesi) ci prova Michele Placido co-sceneggiando (con lo stesso Collura e Toni Trupia) e dirigendo Eterno Visionario, presentato in prémière mondiale alla 19ma Festa del Cinema di Roma. Certo, c’è il novantesimo anniversario del Nobel – era l’8 dicembre 1934 – come pretesto per un omaggio, ma al di là di questo, la grande domanda che sorge di fronte alle quasi due ore di film è “perché”. Giacché accanto alle ovvietà positive nel 15° lungometraggio da regista di Placido – le ottime prove attoriali di Fabrizio Bentivoglio (Pirandello) e di Valeria Bruni Tedeschi (la moglie Antonietta) così come la cura nella recitazione di tutto il cast, la maestosità della ricostruzione scenografica, dei costumi e complessivamente dell’ambiente pirandelliano – a destare perplessità è la forma cinematografica dell’opera: mai intimamente pirandelliana, troppo piegata ai favori di un pubblico, purtroppo, televisivo. Questo non significa che Eterno visionario sia un film televisivo nel suo mettersi in scena (l’alto production value garantito dalla Goldenart Production di cui Placido è direttore artistico ne fa spettacolo di piacere sul grande schermo), ma semplicemente che si presta alle semplificazioni spettatoriali del piccolo schermo generalista. Non esattamente un biopic, il racconto di Eterno visionario articola sul classico meccanismo dei flashback la vicenda del drammaturgo di Agrigento, incorniciata nel suo viaggio in treno destinato a Stoccolma e, appunto, al Nobel per la letteratura. Tra sogni, ricordi e incubi, Pirandello fa riemergere il proprio passato privato e pubblico: la follia della moglie, i problemi con i figli, la passione assoluta ma proibita per la giovane attrice Marta Abba (interpretata con intensità dalla anche qui produttrice Federica Luna Vincenti), il genio creativo di incomprensibile modernità per i tempi esemplificato dal flop del capolavoro teatrale Sei personaggi in cerca d’autore, i ben noti fantasmi, l’attaccamento alla Sicilia arretrata contrappuntata dall’attrazione per la Berlino avanguardistica, il sogno del cinema tradito da Murnau e via dicendo in un andirivieni a tratti dolente, in altri lirico, ma sempre più patinato che di sostanza. Impossibile dunque non rievocare gli ultimi due recenti lavori cinematografici su Pirandello (entrambi del 2022), magari meno “completi” nella esplorazione del suo personaggio ma più profondamente focalizzati – e pirandelliani – nella connotazione narrativa: da una parte la bella commedia meta-teatrale di Roberto Andò, La stranezza, dall’altra il sofisticato Leonora addio di Paolo Taviani. Forse un’occasione persa, o forse no. A beneficiare della visione potrebbero essere gli spettatori (giovani, studenti?) desiderosi o chiamati ad approcciare propedeuticamente la figura dell’autore, tra i vari capolavori, del Fu Mattia Pascal, ma di certo non chi voglia assaporare il gusto di un Pirandello “visionariamente” cinematografico.
ETERNO VISIONARIO
Regia: Michele Placido
Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Federica Luna Vincenti, Michele Placido
Durata: 112′
Italia, 2024