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IL CASO BELLE STEINER (Benoît Jacquot)
Il buio nella mente

Pierre e sua moglie Cléa conducono un’esistenza tranquilla in una città di provincia. Lui è un insegnante di matematica in un liceo, lei gestisce un negozio di ottica. La coppia ospita tra le proprie mura Belle, la figlia poco più che adolescente di un’amica di Cléa. Ma la loro vita viene stravolta quando la ragazza, in una serata di pioggia battente, dopo essere rientrata viene ritrovata strangolata nella sua stanza. Poiché era il solo presente in casa al momento del decesso, Pierre diventa l’unico sospettato, subisce interrogatori via via più pressanti da parte della polizia e percepisce l’ostilità dei residenti della cittadina, dove tutti sanno tutto…

Ispirato ad un romanzo del 1952 di Georges Simenon, La morte di Belle, trasferito dagli Stati Uniti al territorio francese e adattato alla contemporaneità, Il caso Belle Steiner (non ancora uscito in Francia per le accuse di molestie mosse nei confronti del regista da quattro attrici) ha il pregio di rievocare, in forme cinematografiche, le ambigue atmosfere letterarie create dal romanziere belga. Procedendo per sottrazione e non per accumulo, non esplicitando, dunque, connessioni e intrecci, senza retrocedere a dinamiche pregresse e senza giungere ad esiti rivelatori, il lungometraggio di Benoît Jacquot concentra il proprio sguardo sull’insegnante di matematica, in un’oggettività filmica non scevra, però, di acute sottigliezze psicologiche: dietro l’impassibilità di Pierre, oltre la sua estraneità emotiva alla tragedia e le responsabilità che si addensano sulla sua figura, si staglia non soltanto il profilo di un uomo che vive la vita seguendo “una teoria della probabilità attraverso il gioco”, come dice egli stesso, perché “la sfida è individuare un punto fermo per trovare un equilibrio”, ma anche l’orizzonte esistenziale di un individuo la cui razionalità cela il vuoto pneumatico della difficoltà ad esprimere e vivere i sentimenti.

Con buona adesione ai canoni simenoniani, così come alle torbide esplorazioni noir alla Chabrol, Il caso Belle Steiner alimenta dubbi sotterranei, incuneandosi nel “buio della mente” di un essere umano isolato ma non apatico, inconsapevole dell’attrazione suscitata sulla graziosa, giovane ospite (che lo ha ripetutamente fotografato con il cellulare) ma sensibile al fascino femminile (come comprova l’osservazione voyeuristica di una vicina di casa dalla finestra del sottoscala in cui egli si rifugia a correggere i compiti dei propri studenti e a risolvere infinite equazioni alla lavagna). Se il concentrarsi sull’impermeabilità del protagonista (e, di riflesso, sulla sua ambivalenza) è il punto di forza del film di Jacquot, il suo limite, invece, è costituito dallo stesso lavoro di sottrazione esercitato sul contesto in cui Pierre si trova ad agire: l’intera vicenda, in effetti, ristretta ad una sola dimensione, quella individuale (la presenza della moglie Cléa, ad esempio, appare alquanto insignificante), non possiede la forza di allargarsi metaforicamente ad una più ampia e profonda ‘visione’ di mondo, insinuante e inquietante, riducendosi, così, ad una sorta di ‘autoanalisi’ in immagini, per quanto suggestiva, Non risolta, peraltro, da un finale lasciato volutamente aperto.

Regia: Benoît Jacquot

Interpreti: Guillaume Canet, Charlotte Gainsbourg, Kamel Laadaili, Pauline Nyrls

Nazionalità: Francia, 2024

Durata: 100’

 

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Sull'autore

Paolo Perrone

Giornalista professionista, critico cinematografico, curatore di rassegne e consulente alla programmazione, è direttore responsabile della rivista Filmcronache e autore di numerosi saggi sul cinema. Per Le Mani ha scritto Quando il cinema dà i numeri. Dal mathematics movie all'ossessione numerologica.