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Kill Me If You Can (Alex Infascelli)
Il marine

L’incredibile vicenda di Raffaele Minichiello, una vita punteggiata da terremoti, attentati, guerre, tragedie personali e guai di ogni sorta, ma sempre all’insegna di un’irriducibile voglia di vivere, o meglio, di sopravvivere, nonostante un destino che sembra proprio accanirsi contro di lui.

Quello di Alex Infascelli è un percorso espressivo curioso quanto originale, perché sembra aver trovato la propria dimensione alla fine di un trentennale itinerario che si è definito sperimentando diverse tipologie di narrazione audiovisiva. Da apprezzato regista di videoclip negli anni ’90, che gli permette di arrivare all’apprezzato esordio nel lungometraggio di finzione premiato con il David di Donatello in qualità di miglior regista esordiente (Almost Blue, 2001), la sua carriera subisce infatti un drastico quanto inopinato ridimensionamento, nel quale la crisi ispirativa sembra essere accompagnata — e per certi versi favorita — dalle difficoltà produttive incontrate per realizzare progetti all’altezza delle ambizioni. Un ventennio in cui il regista romano riesce a realizzare solo tre lungometraggi di finzione, a collaborare in un paio di serie televisive o a firmare ancora qualche videoclip, ma che trova il proprio felicissimo approdo in un territorio nuovo, da lui stesso prima non considerato. È infatti con la realizzazione del suo primo lungometraggio documentario (S is for Stanley, 2015) che ha infatti inizio la “nuova vita” espressiva di Infascelli. Un percorso illuminato da una rimarchevole trilogia all’interno del documentare biografico che lo segnala tra le più interessanti personalità espresse dal cinema italiano dell’ultimo decennio. Trilogia che — dopo il lavoro dedicato all’autista di Kubrick e quello su Francesco Totti (Mi chiamo Francesco Totti, 2020), entrambi premiati con il David di Donatello per il miglior documentario — con Kill Me If You Can si arricchisce di un’altra memorabile personaggio Bigger than Life.

Ispirato dal libro biografico firmato dallo stesso Raffaele Minichiello insieme a Pierluigi Vercesi (Il marine), il nuovo lavoro documentario di Infascelli tuttavia non si limita a ricostruire la vicenda per la quale l’ex-marine italo-americano balzò agli onori di tutte le cronache mondiali alla fine del 1969, ovvero quella che coincide con il più lungo dirottamento di un aereo di linea (da Los Angeles a Roma), bensì a ricostruirne l’intero itinerario esistenziale. Una ricostruzione che copre un ampio periodo, assumendo sempre nuove prospettive e arricchendosi continuamente di nuovi episodi che hanno il pregio di rilanciare la posta semantica senza far mai cedere di un millimetro l’interesse verso un personaggio fuori dal comune. Un personaggio che fu capace di affascinare Pasolini ma anche di ispirare la saga di Rambo. Al di là della vicenda però, ciò che più convince di Kill Me if You Can è come Infascelli la articola. Addentrandosi nelle sue pieghe senza mai perdere di vista la rappresentazione plastica del proprio protagonista, disseminandola di indizi e possibili interpretazioni senza mai far perdere intensità al racconto. Ma soprattutto scegliendo un punto di vista da Autore raffinato, capace di tenere in mirabile equilibrio la fabula e l’intreccio, ma anche di costruire un testo in cui il documentario si specchia nella Finzione e la Verità nella Menzogna. Un’opera profondamente chiaroscurale, di matrice quasi wellesiana, di cui bisogna attendere l’ultima inquadratura per individuarne il senso profondo.

Regia Alex Infascelli

Con Raffaele Minichiello

Italia, 2022

Durata: 90’

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Sull'autore

Francesco Crispino

Francesco Crispino è docente di cinema, film-maker e scrittore. Tra le sue opere i documentari Linee d'ombra (2007) e Quadri espansi (2013), il saggio Alle origini di Gomorra (2010) e il romanzo La peggio gioventù (2016).